Al contrario di Bush (sic!) Obama non riceverà il Dalai Lama alla Casa Bianca. Il regime cinese ha appena festeggiato i 60 anni della Repubblica Popolare e non avrebbe tollerato una mancanza di rispetto da parte dello stato che possiede (infatti la Cina possiede la maggior parte dei titoli del Tesoro Usa). Il presidente degli Stati Uniti non ha voluto gelare i rapporti con chi può garantirgli la sopravvivenza , in un momento così delicato per l’economia. Questo è il prezzo da pagare, nell’economia del XXI sec. i diritti umani sono secondari.
Nel nostro piccolo il Comune di Pisa ha votato un ordine del giorno che aiuta a non dimenticare la memoria di chi ha perso la vita lottando contro il regime.
In particolare vogliamo ricordare i caduti di Piazza Tien An Men durante gli scontri con gli studenti del 1989. Infatti la Cina sta cercando in tutti i modi di far dimenticare quei giorni di lotta utilizzando le più bieche forme di controllo mediatico. Perdere la memoria significa uccidere ancora una volta chi ha combattuto per la libertà.
In un momento così difficile per la libertà d’informazione nel nostro paese bisogna agire contro ogni uso della memoria come forma di controllo sociale. Come reagireste se cercassero di cancellare il ricordo di Piazza Fontana o delle Fosse Ardeatine?
Senza la conoscenza del passato l’uomo è destinato a ripetere gli stessi errori ciclicamente.
ORDINE DEL GIORNO
Il Consiglio Comunale di Pisa
ricordando
che il 2009 segna 20 anni dalle manifestazioni e sit-in di studenti, operai, contadini e semplici oppositori del regime cinese che per oltre un mese hanno occupato piazza Tienanmen tra l’aprile e il maggio del 1989;
che il movimento non violento chiedeva “più democrazia e meno corruzione” al Partito Comunista che, avendo intrapreso alcune modernizzazioni di carattere economico e liberista, resisteva però ad accompagnare tali riforme con riforme di carattere politico e sociale
valutata
LA STORIA E GLI EFFETTI DEL MASSACRO DI TIEN AN MEN
Per settimane giovani da tutta la Cina hanno sostato nella piazza più grande del mondo, sostenuti dalla popolazione di Pechino e attendendo un’apertura e il dialogo con il vertice del Partito Comunista.
Nella notte fra il 3 e il 4 giugno di 20 anni fa, l’esercito cinese si è mosso contro i manifestanti, aprendo il fuoco all’altezza del ponte di Muxidi. I soldati sparavano e gli studenti rispondevano lanciando oggetti. I militari sgombrarono piazza Tienanmen verso le 5.30 del mattino del 4 giugno, dopo ore e ore di massacro.
Secondo organizzazioni internazionali (tra le quali Croce Rossa e Amnesty International) oltre 2600 persone sono state uccise quella notte nella piazza e nelle vie adiacenti. Almeno 20 mila persone sono state arrestate nei giorni seguenti. Personalità del Partito, che avevano resistito all’ordine del massacro, sono state arrestate ed esautorate.
Da allora, il Partito Comunista ha cercato di cancellare la memoria del massacro, giustificandolo talvolta come “il male minore”, talaltra come il prezzo pagato per garantire la “stabilità” e raggiungere lo sviluppo economico che ne è seguito.
Ogni anno, all’arrivo del 4 giugno, il silenzio sul massacro è di norma: i dissidenti vengono messi agli arresti e i controlli vengono aumentati. Ma ogni anno, soprattutto i genitori che hanno avuto i figli falcidiati dall’esercito domandano invano al Partito di conoscere la verità sul bagno di sangue, su chi ha dato l’ordine, sul perché.
Ogni anno, i primi giorni di giugno Piazza Tiananmen a Pechino è sempre massicciamente presidiata da poliziotti e paramilitari. Quest’anno il ventesimo anniversario del massacro di Tienanmen, dove la notte tra il 3 e il 4 giugno l’esercito cinese soffocò nel sangue la rivolta, è stato trasformato in una sorta di tabù. Oggetto di censura e oblio.
Mentre tutto il mondo ricorda quella data come uno dei momenti più alti della storia contemporanea, simbolo indelebile di lotta per la libertà e degno prodromo di una protesta che infuocò un Ottantanove destinato a chiudersi col crollo del Muro di Berlino, in Cina si tace o si è costretti a tacere.
Le versioni cinesi di Cnn e Bbc sono “depurate” di qualsiasi riferimento al 4 giugno di vent’anni fa. Nessun cinese riesce ad accedere ai social network. Anche il provider di posta elettronica Hotmail è stato bloccato dal regime.
L’associazione “Reporter senza frontiere” informa che se un cinese prova a fare una ricerca per immagini su Baidu, il più diffuso motore di ricerca del paese, usando le parole chiave “4 giugno”, s’imbatte nella seguente risposta: “La ricerca non è compatibile con le leggi e i regolamenti”.
“Il black out sull’informazione è stato così efficace per vent’anni – commenta Reporter senza frontiere – che la gran parte dei giovani cinesi sono del tutto ignari di quel che accadde quella notte”.
Centinaia di poliziotti e soldati hanno stretto piazza Tienanmen in un cordone invalicabile. Il mausoleo di Mao è stato chiuso “per lavori”.
Neanche i giornalisti stranieri possono entrare. Le troupe televisive vengono allontanate dagli agenti di sicurezza.
Sono, inoltre, aumentati i controlli sugli attivisti sopravvissuti alla strage, o sui loro familiari. Restano nelle prigioni cinesi più di trenta persone, incarcerate per i fatti dell’89. Il China Labour Bullettin, organizzazione sindacale indipendente e una delle principali fonti di informazione sul mondo del lavoro cinese fondata da Han Dongfang, che partecipò alle proteste, riporta un elenco delle persone ufficialmente ancora agli arresti o delle quali si sono perse le tracce nelle segrete di Pechino.
Amnesty International ha chiesto alle autorità cinesi di svolgere un’inchiesta pubblica e indipendente sulla violenta repressione militare ordinata nel 1989. “Il governo di Pechino ha finora impedito ogni tentativo di fare luce sull’attacco militare che provocò, nel giugno di 20 anni fa, centinaia di morti e feriti. Alla vigilia del ventesimo anniversario delle proteste, le autorità hanno ulteriormente intensificato il giro di vite contro attivisti e avvocati. In assenza di dati ufficiali da parte del governo, diverse Organizzazioni non governative stimano che tra 20 e 200 persone siano tuttora in carcere per il loro coinvolgimento nelle manifestazioni per la democrazia del 1989”.
Il governo cinese è riuscito sistematicamente a sopprimere la verità su quanto avvenne quel giorno
Tutto ciò premesso
in occasione del ventesimo anniversario della protesta culminata in mattanza,
i sottoscritti Consiglieri Comunali,
facendo proprie alcune istanze delle Associazioni internazionali che hanno recentemente lavorato per non far dimenticare i tragici fatti di vent’anni fa,
con quest’ordine del giorno
impegnano il Sindaco e la Giunta
a far giungere all’Ambasciatore della Repubblica Popolare cinese in Italia
le seguenti richieste, perché siano fatte arrivare al governo cinese;
con queste si chiede:
- l’immediato rilascio dei giornalisti, dei blogger e degli attivisti attualmente detenuti per aver partecipato o per aver citato il movimento pro-democrazia dell’89;
- la concessione alla stampa cinese e agli utenti internet di poter citare gli eventi della primavera “incriminata”;
- la riabilitazione dei giornalisti che sono stati trasferiti, licenziati o costretti al pensionamento anticipato per aver supportato il Movimento studentesco;
- il rispetto del lavoro dei giornalisti stranieri e la loro libertà di movimento, anche quando questo può in qualche modo essere tacciato di sostegno alle attività dei dissidenti e collegato a eventi legati al giugno 1989.
Inoltre, con l’odg i consiglieri chiedono al Sindaco e alla Giunta di dedicare una strada o una piazza della nostra città alla memoria dei caduti di Tienanmen.
Filippo Bedini (PdL)
Marco Bani (PD)
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