“Ero un bambino politicizzato”, come ha detto Massimo D’Alema a L’Era Glaciale qualche tempo fa.
Ho iniziato a seguire la politica fin da piccolo. I politici li guardavo con ammirazione, rompevo sempre le scatole ai miei compagni di classe – che, a quell’epoca, non erano esattamente interessati a sapere se Cofferati sarebbe stato il messia della sinistra.
Ho seguito gli anni del secondo governo Prodi con un misto di tenerezza, di rabbia e di preoccupazione: vedevo questa corazzata che perdeva acqua da tanti, troppi buchi, e mi chiedevo come fosse possibile che la “mia” sinistra fosse così poco unita, così male organizzata, senza un leader che decidesse cosa fare. Quel poco che facevano, poi, nemmeno ce lo spiegavano chiaramente.
E quando la corazzata affondò, decisi che la misura era colma. Basta. Io ero solo un adolescente – iosono solo un adolescente, sono nato il 5 agosto del 1992: nonostante ciò, non potevo sopportare che degli irresponsabili – così li vedevo, irresponsabili – lasciassero nelle mani di Berlusconi l’Italia, di nuovo.
Intendiamoci, volevo bene lo stesso a Prodi, a D’Alema, a Bersani, a Ferrero: erano pur sempre brave persone, ma avevano passato il segno. Poi arrivò Veltroni e il suo PD: ero felice, un grande partito unico, a vocazione maggioritaria. Non è andata così, il partito unico non era unito. E dopo l’ennesima delusione – mica male, in 17 anni di vita, ragazzi! – ero scoraggiato. Io volevo sentirmi rappresentato: “I want the one I can’t have, and it’s driving me mad”, come dicevano gli Smiths.
Poi lessi l’intervista a Pippo Civati su Repubblica. Quella grossa, quella di Curzio Maltese per intenderci. E c’erano belle parole, ed era uno giovane che le diceva; scoprii iMille, conobbi di persona Pippo, andai pure al Lingotto. Nel frattempo erano cambiate un sacco di cose: Veltroni si era dimesso, il PD era nelle mani di Franceschini, Bersani era finalmente candidato – per davvero – alla segreteria. Oddio, forse non erano poi così tante, e così nuove.
Al Lingotto c’era una gran bella aria, si stava bene, c’erano personaggi che dicevano finalmente qualcosa: c’erano Pippo, Sandro Gozi, Cristiana Alicata, Paola Concia, Ivan Scalfarotto. Chiunque intervenisse lì, mi piaceva. Era un bel PD, decisi pure di fare la tessera, perchè in cuor mio speravo di sostenere un piombino alla corsa per la Segreteria: magari Civati, magari Gozi, magari Scalfarotto
Oggi lo sappiamo tutti: quel candidato è Ignazio Marino. Più o meno, nel senso che magari non tutti i piombini hanno aderito, non lo so.
Io mi sento rappresentato da Ignazio Marino. Ho aderito convintamente alla sua mozione, perchè sapevo a cosa stavo aderendo: dei sì e dei no ben precisi.
Un chirurgo, un grande scienziato che entra nel mondo della politica, e lo fa attraverso mille difficoltà, perchè lo etichettano subito come “il candidato del laicismo”. Nulla di più falso.
Mi piace Ignazio Marino proprio perchè, se sarà eletto segretario, ne sono convinto, ci permetterà di prendere posizioni chiare, senza essere “tirato per la giacchetta” (espressione orribile). Difenderà la fede religiosa di tutti gli esponenti del PD: ma se si deve decidere sulla RU486 o sul testamento biologico non possiamo permetterci alcuna titubanza. Neanche la più piccola.
Scelte radicali? Sì, probabilmente lo sono. Ma io sono un diciassettenne, e devo pensare anche al futuro di quelli come me. Perchè c’è anche quello, oltre ai 150 anni di storia e responsabilità di Bersani. E a volte servono delle scelte chiare: una mano tesa alla comunità GLBT, sì alle adozioni per i single, alle civil partnership.
E poi il no al nucleare. NO. E al precariato? NO.
Ignazio Marino parla a me, parla a chi il PCI e la DC non li ha conosciuti (non ne ho colpa, sono nato nel 1992), parla anche a chi ancora un lavoro non ce l’ha, che vorrebbe sentirsi più protetto, che vorrebbe essere assunto in base alle proprie capacità. Meritocrazia, quella parola di cui oggi si abusa, forse potrà riacquistare un vero significato.
Un approccio moderno alle nuove tecnologie, a Internet, alla banda larga: Marino è davvero il candidato del futuro, quello che guarda al domani ma non dimentica il presente, il nostro ruolo di opposizione (quello che Veltroni aveva un po’ dimenticato). Si dice sempre “il 26 saremo tutti uniti”. Io lo spero vivamente. Ma, nel frattempo, faccio campagna per Ignazio Marino.
Il mio candidato è lui.
Forse con Ignazio Marino, con Pippo Civati, con Sandro Gozi, con Ivan Scalfarotto, con Paola Concia e con tutti gli altri riusciremo davvero a vivere il PD e a cambiare l’Italia.
Lascia un commento