Le camicie rosso-sangue della thailandia

Sono ore difficili a Bangkok, ormai sull’orlo di una guerra civile. Da due mesi un gruppo di dissidenti, chiamati “le camicie rosse”, sostenitori del deposto premier, protestano contro il governo attuale, colpevole secondo loro, di mandare il paese alla rovina. Ma quello che più colpisce è la reazione del premier thailandese Vejjajiva che attacca con un forte dispiegamento di mezzi militare il fortino dei rivoltosi senza pietà e senza indulgenza. “Non ci sono spazi per compromessi, il governo deve andare avanti”, con queste parole il capo di stato cerca di legittimare il massacro effettuto in questi giorni. 35 morti e centinaia di feriti in una lotta impari: mitragliatori e carri armati contro fionde e petardi delle “camicie rosse”. Un rapido epilogo della protesta che macchierà di sangue la Thailandia iniziando una spirale di violenza impossibile da prevedere. Gli ultimi conflitti ci hanno insegnato che la violenza e l’uso della forza non hanno portato alla fine dei contrasti, ma l’hanno acuiti irrimediabilmente. Un altro fosco e oscuro scenario di morte e disperazione si apre nel panorama mondiale, ma l’Europa e l’America, che dovrebbero garantire con il loro peso politico la risoluzione pacifica dei problemi sono troppo distratti a curare i propri disastri per cercare una soluzione diplomatica. Gli Stati Uniti si ritrovano davanti a un disastro ambientale di propozioni enormi, pari alla devastazioni causate dall’uragano Katrina; l’Europa è invece alle prese con la difficile sopravvivenza economica dell’euro. Mi domando gli organi internazionali cosa stanno facendo per evitare il massacro e l’inizio di una guerra civile in Thailandia. Ancora una volta stiamo assistendo a palesi violazione dei diritti umani, un eccidio crudo e senza pietà: cecchini, madri e bambini uccisi, manifestanti senza armi eliminati a sangue freddo.

Siamo abituati alle scene  di violenza dove la nostra incapacità di agire ha portato sofferenza e inasprimento dei conflitti.Iraq, Afghanistan, Cecenia,gli Uiguri dello Xinjiang, Birmania, Filippine sono solo alcuni degli ultimi scenari “caldi” ancora in attesa di essere riappacificati. Sì, siamo addestrati a vedere scene di sofferenza e di dolore,   ma non bisogna assolutamente passare alla rassegnazione  o alla assuefazione.

Non ricordiamoci della Thailandia solo quando bisogna programmare il nostro viaggio esotico, relegandola a  un rumore lontano, fastidioso quando non ci interessa. Facciamo sentire alta  la nostra voce contro il crudele massacro dei manifestanti, non restiamo egoisticamente indifferenti. La cosa più semplice è restare informati e condividere le vostre conoscenze, per abbattere l’ignoranza e l’omertà.


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