Se anche un fedelissimo, un soldatino, un “tirapiedi” come Bondi, sempre pronto a elogiare ogni mossa del presidente, si infiamma e si sente “esautorato” vuol dire che Tremonti l’ha fatta grossa. La cultura, un settore già in crisi prima della crisi, subisce dei tagli spaventosi: duecentotrentadue enti nazionali verranno soppressi o avranno una forte riduzione delle entrate, che significa chiusura in un contesto privo di profitto come quello culturale. Una mannaia trasversale che non fa differenze territoriali o politiche. Pisa non rimane esclusa e forti tagli sono previsti per la Domus Mazziniana e la Domus Galileiana. Non si capisce la ratio delle scelte che sembrano incoerenti con le decisioni prese in passato. Ad esempio la Domus Mazziniana è stata valorizzata e inserita nel contesto delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma senza finanziamenti l’ente dovrà chiudere a breve, facendoci perdere un patrimonio culturale inestimabile.
Anche il cinema italiano viene pesantemente colpito e falcidiato:il Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC), che ha formato illustri registi, sceneggiatori, tecnici e interpreti (tra i tanti Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel) rischia di chiudere e di far perdere “migliaia e migliaia di pellicole che richiedono un trattamento particolare.Infatti I film devono essere custoditi in appositi “cellari” a temperatura ed umidità costante per evitare il deterioramento. Tutto ciò richiede costi per il personale, per l’acquisto delle apposite strutture e per il pagamento delle bollette elettriche. Senza soldi saremmo semplicemente costretti a spegnere gli interruttori e mandare al macero i film” dice Francesco Alberoni, presidente del CSC.
Ulteriori sforbiciate potrebbero segnare la fine per il cinema italiano, in un momento dove si intravede una piccola risalita con film di qualità, dove attori come Elio Germano vincono premi internazionali e nonostante i tagli al FAS degli anni passati.
Ma se finalmente il governo ha ammesso la crisi, rimarcando tutta l’irresponsabilità della gestione dei mesi precedenti, annunciando una manovra di “lacrime e sangue” qualcosa bisogna pur tagliare e in un momento di forte difficoltà lavorativa con un milione di disoccupati in più e 300mila cassaintegrati, la cultura sembra un lusso che non ci possiamo permettere. Il perchè questo sia sbagliato lo spiega molto bene Eugenio Scalfari, in un vecchio editoriale:
A che cosa serve la cultura? Serve a migliorare l’anima delle persone, a farle riflettere, a renderle più tolleranti verso i diversi da sé, quindi a scoprire il valore della democrazia e della solidarietà, a ricacciare indietro le pulsioni della violenza. Perciò la democrazia, cioè lo Stato democratico, ha un interesse primario a promuovere la cultura, ad allargarne le radici e le fronde. E poiché il nostro mondo è in preda a un rigurgito di violenza e d’intolleranza, lo Stato democratico è chiamato a intraprendere una necessaria alfabetizzazione incoraggiando la nascita di quella che lui chiama una “intelligenza di massa”. Lo Stato democratico, non può avere un contenuto etico senza snaturarsi. Quindi non può scegliere tra questi diversi progetti quello che gli piace e quello che gli dispiace. Li deve accettare tutti destinando a tutti il suo aiuto in termini di esenzioni fiscali, facilitazioni immobiliari, libera circolazione nelle sale, accesso alle Tv pubbliche e private. Il mercato guida e intraprende, il denaro pubblico aiuti tutti senza alcuna discriminazione nei limiti delle risorse disponibili. Questo è il nocciolo della provocazione baricchiana. E poi vinca il migliore, la cultura vincerà con lui, l’intelligenza di massa e l’alfabetizzazione culturale faranno decisivi passi avanti. Lo Stato non deve essere etico ma neppure privo di pensiero. Deve tutelare il patrimonio culturale della società che lo esprime. Quindi l’archeologia. La memoria collettiva. I reperti. I repertori. Deve renderli accessibili. Deve favorire la ricerca storica e quella scientifica. Le risorse culturali debbono avere questa oculata destinazione. I privati debbono avere piena libertà di intraprendere facendo della cultura un mezzo per ottenere un lecito profitto. Siano liberi di farlo a proprio rischio così come si costruiscono automobili, reti televisive, telefoni satellitari e mille altre cose e servizi. Eugenio Scalfari – 27/02/09
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