11 Luglio 1995, sono passati 15 anni dall’eccidio di Srebrenica, un eccidio consumato in dieci, dodici giorni, che ha visto la morte di un numero ancora indefiniti di uomini, colpevoli soltanto perché il loro cognome evocava un’appartenenza culturale mussulmana.
Tutto avvenne sotto gli occhi di tutti noi, colpevoli chi più chi meno, di assistere in silenzio o ancora peggio avallando quanto stava accadendo. Era comunque un silenzio assordante.
Quest’inverno mi sono imbattuto negli scritti di una giovane donna bosniaca, costretta a scappare ancora bambina da Srebrenica; il silenzio in quel momento mi è diventato insopportabile. Ho deciso che valeva la pena incontrarla, smetterla di far finta di non vedere che ancora oggi a pochi chilometri di distanza da noi, si sta vivendo una situazione difficile, dolorosa, ingiusta. Ho cercato Elvira Mujcic, questo è il suo nome, e gli ho chiesto di venire a presentare il suo ultimo libro qui da noi a Pisa, ma soprattutto ho incontrato Elvira, una donna di 30 anni, che mi ha parlato della sua Bosnia, di ieri e di oggi.
I suoi racconti, in modo particolare, quelli della Bosnia di oggi, mi hanno imposto di fare qualcosa per non dimenticare; a Srebrenica quindici anni fa abbiamo chiuso gli occhi tutti, il rischio è che ognuno di noi continui a farlo, è troppo più semplice chiuderli ancora, è troppo più semplice dimenticare.
Nei caldissimi anni ’90 sono andato tre volte nei territori della ex Yugoslavia, durante il servizio civile prima e da semplice cittadino poi. Ho incontrato persone con la loro fatica quotidiana, soprattutto donne e bambini, sradicati dai loro territori, spesso in cerca di un luogo, di qualche certezza. Ho davanti i loro volti, ma è stato più semplice metterli in un angolo.
Una frase del primo libro di Elvira mi ha particolarmente colpito, parlando di quei giorni di quindici anni fa, scrive”..insomma non potevano ucciderli, il mondo non lo avrebbe permesso. Cazzo, eravamo pur sempre in Europa. Si fino a quel giorno lo eravamo. Poi, l’Europa è diventata un entità a se stante, un bel mondo di sole. Pance piene, gente cresciuta con il culo al sicuro…”.
Speranza e disillusione
Smettere di dimenticare, smettere di far finta di niente; sono passati molti anni ma le vicende di quel popolo sono ancora appese ad un filo, un filo così facile da spezzare e capace di far ripiombare il paese nel caos, nell’odio più grande. “Non può esservi pace senza giustizia” ha detto il premio nobel per la pace argentino, Adolfo Perez Esquivel, ma purtroppo la giustizia in Bosnia è ancora lontana, e con essa la pace. Nei medesimi villaggi, nelle medesime strade convivono, uno accanto all’altro vittime e carnefici, quasi che niente fosse accaduto, quasi che tutto possa, debba essere dimenticato.
Andare a Srebrenica per l’11 luglio, insieme al collega e amico Marco, è la voglia di non dimenticare, di non perdere la memoria del passato e tenere viva la speranza per il futuro. E’ non far finta di niente, è la volontà di tener viva anche a Pisa, la mia città , l’attenzione per questo popolo, l’attenzione per la loro ricerca di pace, frutto di una giustizia sempre negata.
Migliaia di criminali di guerra continuano a girare indisturbati in quella terra martoriata, sono passati ormai molti anni e la gente di Bosnia continua ad aspettare, ad aspettare che qualcosa accada; il nostro vuole essere un banalissimo contributo per un’attesa di speranza, per un’attesa di giustizia.
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