Storie di ordinaria scuola pubblica

Una persona a me molto cara, esponente della “casta” dei professori, ieri mi raccontava un episodio di ordinaria scuola pubblica. Nel suo liceo, un istituto che vede la presenza di molti studenti della provincia pisana, è tempo di voti dopo le temibili verifiche del primo quadrimestre.

Il livello della classe, una seconda, è molto scarso. Forse perché è difficile insegnare bene a una classe di 32 ragazzi, forse perché ci sono delle lacune accumulate negli anni precedenti, forse perchè gli insegnanti non hanno più stimoli. Il problema è che la maggior parte dei voti da assegnare è insufficiente, la preparazione della classe  è veramente di basso livello. Ma purtroppo non si può dare una valutazione bassa, è necessario che a questi ragazzi sia data la sufficienza, il 6 politico. Come è possibile tutto questo? E’ forse un complotto degli insegnanti comunisti in ansia di ritornare alle politiche sessantottine?

La spiegazione è semplice. Dando valutazioni molto basse si condanna lo studente a una bocciatura. Questo la scuola non se lo può permettere per diversi motivi: bocciare significa perdere gli iscritti. Chi non viene promosso molto spesso o smette di studiare o cambia istituto, sperando in una sorte migliore. Perdere gli alunni può portare a conseguenze disastrose per la scuola. Si perdono le sovvenzioni date dallo Stato in base al numero degli iscritti. Meno soldi significa meno possibilità di offrire una didattica mirata e varia, che porta a un’offerta limitata e alla conseguente perdita di  attrattività per le famiglie, che scelgono un’altra scuola. Un alto numero di bocciature è sinonimo di scuola selettiva, un altro ostacolo per chi vuole una via agevolata per i loro figli. Credetemi sono in molti a pensarla così.

Ma l’aspetto più crudele è il ricatto che si crea tra i colleghi. Meno iscritti e meno alunni che proseguono il percorso formativo significa meno classi e quindi andare verso una contrazione del numero di posti di lavoro per gli insegnanti.  La sorte economica e lavorativa di una persona affidata nella penna di una collega, che è costretta a cedere alla mortificazione del suo lavoro , al livellamento culturale, all’inutilità di compiti e valutazioni, alzando i voti della classe, pur non meritandoli. Ma così facendo magari salvi il futuro di quella persona meno fortunata, ma alteri l’avvenire di un’intera generazione che si ritroverà nel mondo del lavoro o all’università con una formazione totalmente inadeguata e scarsa, che li porterà inevitabilmente ad avere difficoltà a trovare occupazione.

Il welfare  non può essere nelle mani di un insegnante. Non si può sostituire allo Stato. In questo risiede la più grande sconfitta della scuola pubblica.  Salvarli dalla bocciatura  non li salverà dall’ignoranza. Ma non biasimo gli insegnanti, costretti a lavorare in condizioni veramente poco dignitose. Punto il dito contro chi ha permesso la creazione di questo sistema corrotto e spietato, contro chi ogni giorno fa di tutto per affossare l’ormai traballante scuola pubblica.

Mentre ci avviciniamo amaramente a festeggiare il 150°anniversario dell’Unità d’Italia, mi ritornano in mente le struggenti parole di Piero Calamandrei:


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