Pisa – Il modello toscano per principianti – La coppa Maroni – 1

Abbiamo parlato molto in questi giorni di immigrazione, di clandestini e di ipotetiche invasioni. Sono stati usati  toni  che io credevo relegati solo nel profondo Nord leghista.  Un linguaggio pieno di odio, rabbia e xenofobia. Poi sono arrivati. Nella nostra provincia abbiamo allestito 4 centri d’accoglienza: Santa Croce, Montopoli, San Piero, San Giuliano (nel parco di San Rossore).

Visto il clamore suscitato, vista la sicurezza e la certezza di molti nel descriverli come qualcosa di  destabilizzante e tremendamente pericoloso per la comunità, pronti a minare l’equilibrio sociale ed economico della provincia, il minimo che potevo fare era capire se era davvero così.

Domenica scorsa ho avuto la fortuna di partecipare a un giro nei centri d’accoglienza insieme ai parlamentari pisani, ai dirigenti del PD locale e a Khalid Chaouki, responsabile nazionale Forum Seconde Generazioni, che faceva da interprete.

Ovviamente la realtà che ho trovato era totalemente diversa dalle paure e dalle parole purtroppo sentite nei giorni scorsi.

Santa Croce
Il viaggio dell’accoglienza inizia a Santa Croce, terra di concerie e immigrazione. Santa Croce sull’Arno è infatti il Comune con la più alta presenza di stranieri della Provincia (18 %), dovuta all’enorme domanda di lavoro manuale.
Arriviamo a destinazione la mattina presto, con il sole nascosto fra le nuvole che aumenta il grigiore della struttura.
I primi saluti sono da parte di due poliziotti. Hanno il viso rilassato, chiaro segnale della tranquillità con la quale devono svolgere il loro lavoro di presidio.
Dopo poco vediamo il gruppo di venti tunisini, già pronti ad affrontare le attività della giornata, che ci vengono incontro sorridenti. Con noi è presente anche Osvaldo Ciaponi, sindaco di Santa Croce, chiamato “il babbo” dalle persone migranti, data anche la sua aria serena e rassicurante.
Ad accoglierci e a rispondere alle nostre domande c’è Aby, un tunisino con gli occhi verde acqua, sorriso pronto e cappellino in testa. Parla in italiano, o meglio, prova a rispondere nella nostra lingua e questo sforzo viene apprezzato con risate e battute. Ci racconta che il più giovane del gruppo ha 19 anni e il più vecchio 29.  Ci narra la sua terribile storia: dopo Lampedusa hanno passato 4 giorni e mezzo in mare. Prima erano diretti a Taranto, forse destinati alla tendopoli di Manduria. Poi, come novelli Odisseo, sono stati deviati a Civitavecchia,  dove volevano scendere perché stremati. Le loro richieste non sono state esaudite e sono ripartiti destinazione Livorno. Sulla nave oltre a non avere informazioni sul loro futuro, si sono formati gruppi solidali di sostegno. Ma anche queste amicizie si sono dissolte nel momento della loro discesa a terra, perchè caricati sui pullman in ordine casuale, dividendo amici e compagni. Qualcuno gli chiede di Lampedusa, come sono stati trattati. A quel punto Aby si intristisce, cambia espressione e con gesti inequivocabili fa segno di non voler ricordare.  Riusciamo a strappare una confessione: sull’isola siciliana dormivano in 16 in una tenda per 6, in condizioni disastrose.
Ci parlano delle loro giornate, passate a imparare l’italiano, fare lavoretti e a giocare a pallone. Per loro il babbo/sindaco ha già organizzato una partita  con la squadra locale per aggiudicarsi un trofeo chiamato ironicamente “Coppa Maroni”.
Si presentano uno a uno, tutti in religioso silenzioso, interrotto quando un ragazzo dice il suo nome: Ben-Alì, come l’ex presidente tunisino che ha mantenuto il potere per troppi anni. Qualcuno gli dice sorridendo: ” Dove sono i tuoi soldi?Dammi i tuoi soldi.. “, facendo riferimento alla fuga del vero Ben-Alì con tutto il suo denaro e le ricchezze accumulate dopo anni di corruzione. L’atmosfera è molto serena e conviviale.
Entriamo dentro la struttura, dove dormono i tunisini. Della loro colazione rimane un pandoro mezzo mangiato, residuo delle ultime vacanze di Natale.
In uno stanzone si trovano 20 letti, uno accanto all’altro, in puro stile caserma americana, come vediamo nei film di guerra. Tutti i letti hanno sopra un grande numero, che contraddistingue il piccolo spazio di ogni “ospite”. L’arredamento della stanza si conclude con un cartello delle attività del giorno, rigorosamente in arabo, e una mappa dell’Italia. Sono curiosi di sapere dove sono, che tragitto hanno fatto e come arrivare negli altri paesi. Qualcuno chiede dov’è la Svezia, speranzoso di raggiungere un suo familiare. L’operatore sociale sorridendo indica il soffitto, come per sottolineare la lunga distanza del paese scandinavo.

Dopo un ulteriore scambio di battute, è tempo di andare. Montopoli ci aspetta.  Altre storie, altri tristi drammi, altre persone. Perchè quello che stiamo facendo non è solo un viaggio nell’accoglienza, per capire la nostra risposta al modello Maroni. E’ un viaggio per noi stessi, per capire e verificare la validità delle nostre idee.


Pubblicato

in

da

Tag:

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *