Arrivati i permessi di soggiorno le strutture di accoglienza si stanno svuotando. I tunisini sono liberi di andare dove vogliono e di raggiungere la meta desiderata, principalmente all’estero.
Due settimane è durata l’emergenza. Quindici giorni. Volati. Una dimostrazione di efficienza e umanità, una risposta alle critiche e alle inutili preoccupazioni sollevate da qualcuno.
Restano molte domande sintetizzate brillantemente dal Sindaco Filippeschi su Facebook:
Dove sono ora quelli che drammatizzavano e profetizzavano sciagure? E dove quelli che scrivevano di “vacanze pisane” per gli immigrati che venivano accolti, da istituzioni, Chiesa, volontariato di ogni genere? E dove quelli che inventavano i crolli nelle prenotazioni alberghiere e delle visite al Parco? Abbiano il coraggio di dire: “abbiamo sbagliato, chiediamo scusa”
L’ultima tappa del viaggio è a San Rossore, centro la “Piaggerta”.
Da Pisanotizie: La “Piaggerta”, ora di proprietà dell’Ente Parco, e quindi della Regione, in precedenza era un complesso di tre caserme della Guardia di Finanza, diroccate e poi recuperate. La destinazione di questi immobili ad oggi è il turismo sociale per ragazzi e disabili. Nata da un accordo di programma fra Società della Salute, Asl, Comune di San Giuliano, Ente Parco e la Regione, è stato finanziato per metà da quest’ultima, per la restante metà, in gran parte dall’Ente Parco e poi dagli altri soggetti coinvolti. Circa 1,2 milioni l’investimento effettuato, per un complesso immerso nel verde del Parco, composto da 3 edifici e 28 posti letto.
Arriviamo alla struttura della “Piaggerta” attraversando lentamente una strada dissestata. La nostra andatura ci fa apprezzare quello che c’è intorno: il bellissimo parco di San Rossore, con la sua quiete, la sua pace, il suo verde. Con noi si è aggiunto anche Zavanella, presidente CNA, a sottolineare come non tutte le categorie sono contrarie alla sistemazione delle persone migranti in centri d’accoglienza.
La struttura è in effetti molto bella, fresca di restauro. Ci sono panni stesi e l’immancabile pallone, una costante dei centri. I ragazzi ci aspettano fuori a sedere, disciplinati e silenziosi. Sono diversi dalle immagini dei loro compatrioti viste a Lampedusa e Manduria, rimbalzate per settimane su televisioni e su Internet. C’è qualcosa che li differenzia: sono sorridenti e sereni. Gli occhi non sono spaventati. Questo è il modello toscano.
Ormai abbiamo capito quali domande fare e le risposte non si discostano da quelle sentite negli altri centri visitati in mattinata.
Ottenuto il permesso di soggiorno molti di loro se ne andranno in giro per l’Europa, dove hanno famiglia. Francia e Belgio le mete più ambite. C’è chi vuole restare in Italia e domanda prontamente come può aiutare.
Dal gruppo si alza un ragazzo dalla tuta blu che parla un buon italiano: vuole raggiungere suo fratello in Sicilia, che lavora nei campi, ovviamente al nero.
Nessuna delle 40 persone vuole scappare. Non ce n’è bisogno, si fidano di chi li sta cercando di aiutare.
E’ mezzogiorno e un caldo torrido fuori stagioni impedisce la sosta al sole. Ma è strano vedere i ragazzi che vestono tute a manica lunga, incuranti del caldo. Evidentemente sono abituati a ben altre temperature.
Chiedono se è possibile avere corsi d’italiano, visto che qui ancora non sono stati attivati, perché conoscere la lingua è essenziale per comunicare e quindi di conseguenza trovare lavoro. E’ inoltre un buon modo per riempire la giornata, insieme ai lavoretti manuali che possono fare volontariamente.
E c’è sempre il problema dei dinari. Senza soldi non possono comprare niente, nemmeno le sigarette, essenziali per chi ha questo terribile vizio. Loro però sono stati più fortunati degli altri tunisini: hanno potuto chiamare casa e accertare la famiglia della loro buona condizione di salute. Provengono dalle zone più diverse della Tunisia e cominciano a elencare nomi e regioni esotiche delle quali non conoscevo nemmeno l’esistenza, ma che all’udito risultano affascinanti, lasciandoti il desiderio di raggiungerli il prima possibile.
Proviamo a fare la sensibile domanda di come sono stati trattati a Lampedusa, Loro ci raccontano che in fin dei conti il rapporto con gli autoctoni non è stato tremendo. C’era chi li aiutava e offriva loro cibo e vestiti e chi invece, incurante delle più semplici norme di fratellanza e ospitalità, urlava il proprio odio verso di loro.
Alla fine del viaggio nell’accoglienza del modello toscano, iniziato a Santa Croce, i dubbi e le domande che avevo sull’efficacia e sull’umanità di questi centri rispetto ai CIE nazionali si sono dissolti. Di fronte a me avevo persone disperate, coetanei con il semplice sogno di vivere una vita normale. E per una volta la politica dell’odio ha lasciato spazio alla buona politica, quella che migliora le condizioni delle persone. Ora si tratta di usare quest’esempio per cambiare le opinioni degli scettici, per fare in modo che in futuro tutti, ma proprio tutti, in occasione di emergenze come quella che stiamo vivendo, possano alzare uno striscione con sopra scritto: “Voi siete i benvenuti”.
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