Dopo S.croce, la seconda tappa è a Montopoli, in una struttura della Diocesi, adesso inutilizzata, ma prima scuola materna. Ci aspetta il primo cittadino di Montopoli, Alessandra Vivaldi. Se a Santa Croce il sindaco è il “babbo”, qui a Montopoli non può essere che “la mamma”, giocando anche sulla somiglianza linguistica tra la parola sindaco e la parola madre in francese.
La struttura è tenuta bene,adesso al piano terra c’è un Centro Caritas, anche se non nasconde un forte odore di muffa e qualche crepa sui muri.
I 20 ragazzi tunisini, che fanno parte del gruppo di 1500 sotto la gestione della CEI, sono ancora in camera. Anche loro hanno tra i 20 e i 30 anni. Ieri sera hanno fatto tardi a parlare e a cantare insieme alle persone che li assistono, esattamente come facevano in quel momento i nostri giovani al di fuori di quel centro di accoglienza. A loro, che sono cresciuti troppo in fretta, i volontari cercano di restituire, anche solo per pochi istanti, la spensieratezza e l’allegria che dovrebbe contraddistinguere la loro età. Dormono in 5 camere improvvisate, con le infiltrazioni d’acqua che scendono dal soffitto.
Il gruppo tarda a uscire, sentono che c’è qualcosa di strano, molti hanno paura alla vista di quella folta delegazione. Pensano che possiamo essere poliziotti, pronti a riportarli in Tunisia. Non dopo quello che hanno pagato, non dopo quello che hanno passato.
La notte che sono arrivati c’erano persone del PD che presidiavano. Erano in pochi a protestare, al massimo una decina, ma i giornali e la radio hanno detto che erano molti di più, cercando una falsa notizia solo per sottolineare cinicamente una frattura nella comunità che non c’è. Correva anche voce, infondata, di una diaria data alle persone migranti. Si è capaci di tutto quando si vuole screditare e ostacolare l’accoglienza.
Mentre ci spostiamo in giardino e aspettiamo che siano loro a venire da noi, noto l’immancabile cartina geografica dell’Italia, necessaria per capire gli spostamenti da effettuare una volta ottenuto il permesso di soggiorno.
Arrivano alla spicciolata, ma abbiamo conquistato la loro fiducia, perché sciolgono la lingua e ci raccontano qualcosa di più della loro esperienza. Anche loro si sforzano di parlare italiano, ma nei momenti più delicati, quelli che riguardano il loro viaggio verso Lampedusa, ritornano a parlare la loro lingua. E’ troppo difficile non emozionarsi di fronte ai tragici racconti che ascoltiamo: nessuna notizia da parte di familiari partiti lo stesso giorno, barche improvvisate che contenevano 200 persone, ma che ne portano a destinazione solo la metà, giornate intere passate con l’acqua che ti arriva al ginocchio. Drammatici episodi che umanizzano una situazione diventata troppo politica e burocratica. Gli immigrati sono numeri da gestire e da spostare come carri armati del Risiko, ma stavolta meno sono meglio è.
I tunisini, in attesa di ottenere il permesso di soggiorno che li ricongiungerà ai loro cari sparsi in Europa (molti in Franca e Belgio), passano la giornata facendo lavori minimali come tagliare l’erba, pulire la struttura e facilitare il compito dei volontari. Praticano due ore al giorno c’è il corso d’italiano, molto partecipato, tenuto dall’Associazione Arturo. C’è la richiesta di dividere il gruppo in due classi, per migliorare la didattica e l’apprendimento.
Ma la gioia più grande è scoppiata il giorno prima, quando è stato portato un biliardino. Da allora le manopole sono state sempre calde, scaldate dalle mani dai giocatori, che si sfidano in continui tornei dove vince il più forte. Gli italiani giocano meglio, ma è normale, è la nostra tradizione.
Avremmo voluto sfidarli anche noi quella mattina a una partita a biliardino, o a calcio, visto il pallone che attendeva sul prato, ma è tempo di andare, San Piero ci aspetta.
Il Modello toscano per principianti – 2 – Il biliardino come linguaggio universale
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