L’ennesimo crollo a Pompei, il terzo in una settimana, segna l’inevitabile declino che è metafora della realtà che stiamo vivendo. Pompei come l’Italia. Sappiamo che è in crisi, fragile, delicata, debole, ma non riusciamo a fare niente. Crollo dopo crollo, guardiamo impotenti la distruzione di una bellezza mondiale, lentamente, come un fiore che perde i petali. Un tesoro enorme gestito da incapaci.
E mi rivengono in mente le struggenti parole di Erri De Luca:
Chiedo all’archeologia di smettere di scavare. Quello che riporta alla luce lo guastiamo e lo mandiamo in rovina. Chiedo di ricoprire gli scavi di Pompei con cenere spenta per poterli affidare alle generazioni future che saranno costrette a essere migliori, visto che peggiori non si può. Siamo eredi senza merito e tutori di una ricchezza che appartiene all’umanità e non alla competenza di un ministero. Questa ricchezza è quanto di meglio abbiamo da offrire al mondo e siamo responsabili di questo di fronte al mondo. L’immagine dell’Italia all’estero è sfregiata dal ridicolo di certi pruriti anziani e dall’indecente incuria della bellezza ricevuta in dote. Custodire e tramandare la bellezza è la definizione più elementare di civiltà.
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