Il premier greco propone un referendum ai suoi cittadini, per vedere se accettare o no gli aiuti da parte dell’Europa, vincolati a una serie di misure molto dure, tra le quali numerosi licenziamenti e una serie di privatizzazioni. Questa decisione ha provocato lo sconquasso dei mercati, che ieri hanno visto crollare tutti gli indici delle Borse europee. Eppure il referendum non è qualcosa di insensato, si chiede ai cittadini, custodi della sovranità, di condividere una scelta fondamentale per il loro Paese.
Ma il premier greco non si inventa nulla e ce lo spiega Manuel Castells, famoso sociologo internazionale:
nel 2008 le banche islandesi sono fallite. Le tre banche principali sono state nazionalizzate e ristrutturate. I risparmi dei cittadini sono stati protetti dal governo. Ma la decisione su cosa fare con i debiti contratti con gli investimenti speculativi degli stranieri è stata sottoposta a referendum.
Il 93 per cento degli islandesi ha votato no alla restituzione di 5,9 miliardi di dollari a investitori inglesi e olandesi. I soliti economisti avevano previsto una catastrofe. Non è successo nulla di tutto questo. La svalutazione della corona islandese del 40 per cento (una manovra che la Grecia non può fare) ha stimolato le esportazioni di pesca e alluminio, ha reso più economico il turismo e ha limitato le importazioni. La disoccupazione è scesa al 6,7 per cento. Il governo ha adottato misure di austerità ma la spesa sociale non è diminuita, perché non si sono dilapidati soldi per ricapitalizzare le banche. Tutta l’economia si è ridimensionata tornando alle sue proporzioni reali e le persone hanno un lavoro e dei risparmi sicuri, pagano meno per la casa e non si indebitano perché nessuno gli presta dei soldi.
Molti non credono che la soluzione islandese sia applicabile ad altri contesti. Meno che mai la possibilità di non pagare il debito estero, a causa della reazione punitiva che potrebbero avere i mercati finanziari. Eppure tutti sanno che il debito greco è insolvibile. Il salvataggio greco consiste nel decidere come spartire quel debito tra i cittadini greci (perdendo stipendi e pensioni), i cittadini europei (che finanziano la Bce e il fondo di stabilità dell’Unione) e le banche creditrici. È un default, in Grecia come in Islanda. In un caso avviene tutto sotto il controllo dei cittadini, nell’altro è tutto nelle mani di governi e banche, che se la vedranno tra loro per decidere chi paga cosa. Quello che nessuno dice è che alla fine la soluzione greca è uguale alla soluzione islandese, ma senza trasparenza.
C’è però un altro aspetto da aggiungere al possibile esito negativo del referendum greco e la conseguente uscita dall’euro: la sconfitta definitiva di un’Europa unita. La moneta unica doveva essere il primo tassello per una politica unitaria. Niente è stato fatto su questo versante dopo l’introduzione dell’euro e ora ne paghiamo le conseguenze. COme se ne esce? Con una legittimazione democratica maggiore, come ci suggerisce Barbara Spinelli oggi su Repubblica. Ma se fosse troppo tardi?
Per quanto riguarda l’Italia non abbiamo bisogno di un referendum, ma di un governo. Il nostro referendum si chiama “elezioni subito”!
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