Il nuovo mantra, il messaggio che ci viene rimbalzato da media e politici, è che la manovra ci è stata imposta dall’Europa. Una manovra rigorosa, ma necessaria, adottata anche dagli altri paesi in difficoltà come Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda. Salvare l’euro per salvare l’Europa unita.
Ma non si poteva fare diversamente? Economisti come Krugman, Stiglitz, vincitori di premi Nobel, criticano fortemente questo aspetto rigoroso, sostenendo che invece si doveva andare verso politiche di sviluppo e di crescita, con gli Stati che investono direttamente su infrastrutture e imprese.
Ma l’Europa ci chiede altro. Ma questa “Europa” non è un’entità astratta. E’ formata da organi come il Consiglio Europeo, il Parlamento Europeo, la Commissione Europea. Tutte queste istituzioni sono a forte maggioranza conservatrice.
Se pensate a chi governa gli Stati Europei possiamo evidenziare come sia egemone la predominanza di governi di destra: Spagna, Francia, Inghilterra, Germania. Una terrificante leadership frutto dell’incapacità della sinistra di dare la sua interpretazione alla società attuale. 10 anni di sconfitte o false vittorie, sulla scia dell’unica innovazione: la terza via di Blair, l’accettazione del neoliberalismo con una spruzzata di welfare e di sociale, un modello che si è schiantato con l’affermarsi della globalizzazione.
Pensare di uscire da soli da questa crisi europea è egoismo, uscirne insieme è la politica. Non vedo perché un nuovo pensiero, un nuovo modello non possa partire dall’Italia, da sempre un paese a forte vocazione europea, come dimostrano i successi di De Gasperi, Spinelli, Prodi.
Cosa mi differenzia da uno studente inglese che lotta contro l’aumentare delle tasse universitarie? Cosa mi allontana da un disoccupato spagnolo? Cosa mi può insegnare un operaio tedesco che lavora felicemente in un’azienda? Un precario francese non ha forse i miei stessi problemi?
Per arrivare alla vera unità, quella politica, è necessario un maggiore sforzo, come suggerisce anche il filosofo tedesco Habermas:
L’Unione deve garantire quello che la Legge fondamentale della Repubblica federale tedesca chiama (art. 106, comma 2): «l’omogeneità delle condizioni di vita». Questa «omogeneità» fa riferimento solo a una stima delle situazioni della vita sociale che sia accettabile dal punto di vista della giustizia distributiva, non a un livellamento delle differenze culturali. Un’integrazione politica fondata sul benessere sociale è indispensabile se si vuole proteggere la pluralità nazionale e la ricchezza culturale del biotopo della «vecchia Europa» dal livellamento nel quadro di una globalizzazione che avanza a ritmo sostenuto.
Parafrasando un celebre adagio: “Abbiamo fatto l’Europa, facciamo gli europei”
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