Non vi è libertà ogni volta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa

Se non fosse tragicamente vero, la storia dei due detenuti scappati dal Don Bosco potrebbe essere benissimo la trama di un film di evasione con i soliti stereotipi: un buco nel muro, scavato probabilmente con un cucchiaio, e lenzuola annodate.
Ma non c’è stato un lieto fine per tutti: mentre il secondo prigioniero scappava le lenzuola non hanno retto, facendolo precipitare a terra e causandogli la frattura di una gamba. Molto probabilmente se fosse stato un film ci sarebbe dispiaciuto per la mancata evasione, ma in realtà ci spaventa l’idea di sapere che c’è qualche criminale libero (come se non ci fossero di già).
Ma questo episodio forse ci può far riflettere sull’altra faccia della medaglia e su uno dei fattori per i quali si misura la civiltà di un paese: lo stato delle carceri. Il sistema italiano oscilla tra il disumano e il criminogeno, perché piagato dal sovraffollamento e dall’arretratezza delle strutture penitenziarie.
Ad esempio, Pisa oscilla mediamente fra i 360 e i 400 detenuti a fronte di una capienza di 225, col 50% in attesa di giudizio definitivo. Quasi il doppio della “sostenibilità” ammessa, una realtà comune a tutti i penitenziari. Ma qui si parla di persone e l’incapacità di gestione dell’individuo, “gettato” e dimenticato in una cella insieme ad altri reietti, ha delle conseguenze sociali enormi. Ne è testimonianza anche l’elevato numero di suicidi, che, in numero progressivo, segnano l’inefficacia e l’inadeguatezza del sistema carcerario attuale.
Nel 2010, solo in Toscana – ricordano i sindacati della polizia penitenziaria – 4 detenuti si sono uccisi, 171 sono stati salvati dagli agenti, 792 hanno compiuto atti di autolesionismo e 335 si sono feriti da soli.
Ma bisognerebbe ricordarci che siamo nel paese di Cesare Beccaria, dove nel suo “Dei delitti e delle pene” ci spiega come il carcere sia solo un “alloggio temporaneo”, un luogo attivo designato per il reinserimento in società appena scontata la giusta pena. In quello stesso Paese, la giustizia che interessa alla collettività è quella che inizia all’aperto e si esaurisce sulle soglie delle case circondariali. Ma le persone che commettono sbagli prima o poi torneranno nella nostra comunità e il trattamento che hanno subito in carcere sarà determinante per la buona integrazione.
Sulla giustizia si è parlato esclusivamente di come evitare che uno solo andasse in prigione. Ora cerchiamo di affrontare il problema seriamente, restituendo dignità e speranza a un mondo che fa parte di noi, essenziale per il corretto funzionamento della società. Perché, citando ancora Beccaria, “Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”. O un numero.


Pubblicato

in

da

Tag:

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *