Aumentare ore lavorative per aumentare la produttività. Questo è il mantra che sentiamo spesso: “ce lo chiede l’Europa”, “bisogna raggiungere i tedeschi”, “siamo troppo pigri”. Due giorni fa è stato il turno di Visco, Governatore della Banca d’Italia, a dirci che “bisogna lavorare più ore”. Lo stereotipo dell’italiano furbo e pigro è difficile da cancellare. Anche per questo i cittadini tedeschi non vogliono “aiutarci”, evitando di sostenere politiche di supporto, negando quello spirito europeo che hanno contribuito a creare in passato.
Ma è proprio così? Siamo davvero “fancazzisti”? I lavoratori sono i responsabili della crisi italiana?
L’Eurostat (la banca dati UE) riporta che nel periodo 2009-2011 gli italiani nel mondo del lavoro a tempo pieno, pubblici e privati, hanno lavorato una “pigra” media di 38 ore settimanali, a fronte di un “robusto” 35,7 per gli industriosi tedeschi .
Allora forse il problema non è la quantità di lavoro, ma la qualità. Che dipende da altri fattori: burocrazia immobile, giustizia inefficiente, scarsa formazione imprenditoriale, pochi investimenti.
Come si può legare tutta la tematica del lavoro solo sull’art.18 e non fare finalmente una vasta scala di interventi che possono ribaltare la situazione, dalla quantità alla qualità: superamento del precariato, formazione continua, sostegno serio all’occupazione giovanile e femminile, democratizzazione dei processi decisionali sul posto di lavoro. Di questo voglio discutere, anche se è più difficile.
Il lavoro migliore non è quello che ti costerà di più, ma quello che ti riuscirà meglio diceva Sartre. Migliorare la qualità e la soddisfazione dei lavoratori potrebbe portare a livelli di produzioni impensabili. Ma sarebbe una rivoluzione.
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