Con un tempismo quasi perfetto, la mia carica di responsabile dei servizi pubblici nel partito ha coinciso con una discussione sul futuro del servizio idrico locale in consiglio comunale, la prima a seguito del referendum che ha dato forti indicazioni sul no a una privatizzazione forzata dei beni comuni. E ho dovuto cominciare a studiare parecchio per colmare le lacune, cercando di capire qualcosa in un settore, quello dei servizi pubblici, in continuo movimento, che richiede competenze e saperi specifici. Non si può improvvisare su un tema così importante per la vita dei cittadini.
Mentre continuo l’intenso lavoro di approfondimento, sto elaborando alcune personali visioni che cercano di capire tecnicamente e politicamente come procedere nei prossimi mesi.
Tecnicamente possiamo chiederci: che direzione dopo il referendum?
La nostra costituzione, invidiata da molti stati per la sua architettura quasi perfetta, prevede l’utilizzo del referendum abrogativo (art.75), come è stato nel caso dei referendum del 12/13 Giugno. Non avendo la possibilità di sostituire la legge abrogata con una nuova proposta dei referendari, per valutarne gli effetti ci si deve rifare al quadro normativo, che potrebbe divergere dalle intenzioni dei promotori, perché non obbliga il legislatore a recepirle, ma gli vieta soltanto di legiferare in senso contrario.
Un nuovo governo, come ad esempio quello di Monti, non potrà reinserire gli articoli abrogati, ma potrebbe benissimo ricorrere a una nuova normativa orientata alla privatizzazione, per riempire il vuoto che si è creato dopo il 13 Giugno. Giustamente Monti non si è voluto addentrare in questo territorio spinoso, ma purtroppo il vuoto resta e per adesso l’unica proposta concreta è quella depositata dal PD. Ma adesso cosa facciamo?
Il testo superstite della norma deve garantire la copertura dei costi del servizio, compresi gli investimenti, dannatamente necessari per lo stato disastroso dell’infrastruttura idrica italiana, con quasi metà dell’acqua che si disperde per colpa di infiltrazioni o tubature colabrodo. Non è forse anche l’infrastruttura idrica stessa un bene comune?
L’acqua è un monopolio naturale, dove l’infrastruttura pesa per il 90/95 per cento sul costo. Allora bisogna cercare di capire qual è il modo migliore per garantirne l’efficacia e non disperdere questa risorsa sempre più preziosa.
Come si possono interpretare i risultati del referendum, splendido esercizio di democrazia?
Il primo quesito abrogava parte del decreto Ronchi del 2008, che imponeva alle società di gestione del servizio idrico (e non solo) di vendere le quote pubbliche per arrivare a una maggioranza di quote private. Con società a maggioranza privata e senza un’Authority di controllo delle tariffe che faccia gli interessi del pubblico, non era irreale pensare a situazioni anomale, con il rischio concreto di vedere zone dove non c’è un ritorno economico dimenticate dal servizio. Un po’ come è successo per la banda larga, dove Telecom non ha voluto portare la cablatura necessaria in zone dove non c’era un utile di ritorno.
Ed è qui che scende in campo il pubblico, con l’insostituibile capacità di cercare di fare gli interessi di tutti.
Nella nostra zona il servizio idrico è gestito da Acque spa, società a maggioranza pubblica, che comunque ha molte quote possedute da altre società municipalizzate, dando una forte rilevanza al controllo degli enti locali che ne sono soci. Si può migliorarela partecipazione e l’informazione? Certo e ci tornerò dopo.
Ci sono altre vie? Ci sono tentativi, ma la strada è ancora troppo nebulosa per arrischiarsi in percorsi dall’incerto futuro.
Il secondo quesito del referendum di Giugno è più controverso. Sulla scheda elettorale c’era scritto: volete voi che al comma 1 dell’art.154 della 1. 152/06 sia abrogata la frase “nonché dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?
Su questo era chiara la volontà dei promotori: negare la legittimità del profitto, infliggendo un colpo mortale all’idea che il servizio idrico possa essere gestito da soggetti privati.
Il testo superstite afferma che la tariffa deve comunque garantire la copertura dei costi del servizio, compreso gli investimenti. Scompare il riferimento all’adeguatezza della remunerazione, non quest’ultima in quanto tale. Secondo Massarutto, professore di diritto degli enti locali dell’Università di Udine, dunque l’abrogazione negherebbe l’extra-profitto (ossia la remunerazione eccedente rispetto al costo-opportunità del capitale investito). Infatti Vendola, subito dopo il referendum, ha dichiarato che l’Acquedotto Pugliese continuerà ad applicare la remunerazione del 7% perché, essendo la società totalmente pubblica, non ci sarà extra-profitto, in quanto tutto verrà reinvestito.
Senza un intervento legislativo che permetta di includere in tariffa il costo del denaro, eliminare la remunerazione significherebbe sostanzialmente bloccare gli investimenti ed è questo il motivo per il quale nessun gestore ha potuto dar seguito al disposto referendario, in attesa di un sempre più urgente intervento normativo.
Le interpretazioni sulla legittimità della remunerazione del capitale sono molteplici e divergenti.
C’è la necessità di assicurare che la remunerazione non ecceda solamente il costo/opportunità, evitando la generazione di rendite di monopolio? Può essere considerato un balzello imposto per garantire il profitto ai privati? Vediamo cosa dicono i giudici, che stanno vagliando diversi ricorsi.
Resta il fatto che il ministro Clini, in una lettera di inizio Marzo ai presidenti di Regione, chiede che venga abolita la remunerazione del capitale investito, senza però fare nessun intervento aggiuntivo che possa fare chiarezza sulla norma.
Se questa è la strada da percorrere che il ministro faccia fino in fondo il suo dovere e utilizzi le sue prerogative per fare chiarezza nel mondo del servizio idrico.
Anche perché quando c’è un vuoto legislativo, la prima a soffrirne è la democrazia, con tutti i processi decisionali che ne conseguono.
Se la tecnica non riesce a dare risposte definitive, può riuscirci la politica?
(continua)
[Pisa]Il servizio idrico locale: quale futuro dopo il referendum? 1
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