Nei momenti di grande sofferenza agonistica, quando il sudore ti riempie la faccia e il corpo ti dice di smettere, devi avere una forte convinzione per ingannare la fatica e il cervello ed andare avanti. Per molti sportivi il sogno che spinge verso i limiti fisici è la partecipazione all’Olimpiade, il grande evento che si ripete ogni 4 anni. Molti hanno anche la speranza di riuscire a salire sul podio, per ricevere una medaglia che darà loro risalto internazionale, ma soprattutto una ricompensa personale delle fatiche e dei sacrifici fatti negli anni precedenti, una gratificazione mentale dopo gli abusi sul corpo effettuati durante i faticosi allenamenti.
Le Olimpiadi hanno mantenuto quel carattere sportivo che il calcio ha perso, rovinato dalla spettacolarizzazione dei singoli giocatori e dalla brama di soldi che gira nell’ambiente. L’esaltazione del corpo, le emozioni sincere, le doti atletiche, lo spirito ardente della competizione.
Non di meno assistiamo a una vera democrazia dello sport: non ci sono figli minori, un campione viene osannato a prescindere dalla disciplina in cui gareggia. E poi quale altro evento mondiale vede un mescolio di culture, vicine e lontane, che testimoniano la vivacità e la varietà delle diverse popolazioni? Come diceva De Coubertin: lo spirito olimpico non è né la proprietà di una razza, né di una era.
Abbiamo tanto da imparare dallo sport, specialmente dalle Olimpiadi; in antichità segnavano lo scorrere del tempo e facevano fermare le guerre. Non ho la presunzione che possano riuscire in questo obiettivo, ma almeno potranno darci una visione del mondo diversa da quella che siamo abituati a vedere: un contesto dove tutti partono alla pari, dove le nazioni piccole possono sconfiggere quelle grandi, dove in caso di sconfitta la rabbia cede il posto all’applauso per il vincitore, dove si può dare senso logico alla serena convinvenza tra diverse etnie, dove l’odio viene compresso e “nascosto sotto il tappeto”.
E allora per due settimane voglio dimenticarmi di calciomercato e gossip estivi, e ricaricare la mia passione sportiva cercando di divorare quante più specialità possibili. Quei momenti vissuti passivamente mi daranno l’energia quando le gambe saranno intorpidite dalla fatica, le braccia paralizzate dall’acido lattico, la testa confusa dallo sforzo. E allora potrò dire “Citius!, Altius!, Fortius!” (“Più veloce!, più in alto!, più forte!”, il motto olimpico). Sicuramente non parteciperò mai a un’Olimpiade, non salirò sul podio, non proverò le emozioni dei vincitori. Ma Aristotele diceva:
come nelle Olimpiadi sono incoronati non i più belli e i più forti, ma quelli che partecipano alla gara (e tra di essi infatti vi sono i vincitori), così nella vita chi agisce giustamente diviene partecipe del bello e del buono.
Ma non sono un fan della partecipazione a prescindere, se si vince tanto meglio. L’importante è non essere ossessionati dalla vittoria, any sense. Forza atleti azzurri e non. London calling!
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