Viaggiando molto all’estero, soprattutto in Inghilterra, molte volte usufruisco delle connessioni wireless pubbliche e riesco a lavorare in mobilità, aumentando la produttività e placando la mia fame “atavica” di informazioni.
In Italia siamo molto indietro. Siamo il paese dei cellulari, ma non è possibile navigare fuori dalle mura domestiche.
Oltre al gap tecnologico che ci contraddistingue dalle altre nazioni occidentali abbiamo anche una norma che limita l’utilizzo del wireless e di ogni tipo di connessione in luoghi pubblici: il Decreto Pisanu.
Il decreto Pisanu (”Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”), nasce pochi giorni dopo gli attentati terroristici di Londra del luglio 2005 e sulla scia emotiva del momento, senza alcuna analisi d’impatto economico-sociale e senza discussione pubblica. Doveva essere una norma provvisoria, ed è infatti già scaduta due volte (fine 2007 e fine 2008) ma è stata due volte prorogata. Il Decreto Pisanu assoggetta la concessione dell’accesso a Internet nei pubblici esercizi a una serie di obblighi quali la richiesta di una speciale licenza al questore, ma soprattutto obbliga i gestori di tutti gli esercizi pubblici che offrono accesso a Internet all’identificazione degli utenti tramite documento d’identità .
Si tratta di norme che non hanno alcun corrispettivo in nessun Paese democratico; nemmeno il Patriot Act USA (che viola palesemente la privacy con la possibilità di intercettare il traffico web), approvato dopo l’11 settembre 2001, prevede l’identificazione di chi si connette a Internet da una postazione pubblica.
Tra gli effetti di queste norme, ce n’è uno in particolare: il freno alla diffusione di Internet senza fili. Gli oneri causati dall’obbligo di identificare i fruitori del servizio sono infatti un gigantesco disincentivo a creare reti wireless aperte.
Non a caso l’Italia ha 4,806 accessi WiFi mentre in Francia ce ne sono cinque volte di più.
Questa legge ha assestato un colpo durissimo alle potenzialità di crescita tecnologica e culturale di un paese già in ritardo su tutti gli indici internazionali della connettività a Internet, abbiamo imposto lucchetti e procedure artificiali, contrarie alla sua immediatezza ed efficacia e onerose anche da un punto di vista economico a cusa di inutili paure e dicerie.
Questa politica rappresenta una limitazione nei fatti al diritto dei cittadini all’accesso alla Rete e un ostacolo per la crescita civile, democratica, scientifica ed economica del nostro Paese.
Per questo, in vista della nuova scadenza del 31 dicembre, è nata la “Carta dei Cento” dove si chiede al governo e al parlamento di non prorogare l’efficacia delle disposizioni del Decreto Pisanu in scadenza e di abrogare la previsione relativa all’obbligo di identificazione degli utenti contribuendo così a promuovere la diffusione della Rete senza fili per tutti.
La Carta dei Cento, che verrà inviata a Berlusconi e ai capigruppo, si accompagna alla proposta di legge bipartisan di Cassinelli (deputato PDL – ma è stata firmata insieme a Paola Concia, del Pd) che non liberalizzerebbe totalmente l’accesso all’WiFi ma migliorerebbe comunque l’attuale normativa: si lascerebbe ad esempio al ministro la possibilità di valutare se sopprimere integralmente la necessità di identificazione, delegandolo a stabilire “le ipotesi in cui si renda necessaria la preventiva identificazione” e in ogni caso prevede strumenti d’identificazione diversi dall’esibizione di un documento d’identità, come ad esempio un modulo on line nel quale l’utente digiterà il proprio numero di cellulare, al quale poi arriverà un sms con un codice per accedere alla Rete.
Certamente non è la soluzione che tutti vorremmo per un immediato e rapido utilizzo del web in pubblico, ma sicuramente è un passo avanti rispetto all’inutile e lesionista norma attuale.
Un’iniziativa, quella dei Cento, non di parte e voluta soprattutto da imprenditori del Web (tra gli altri, il fondatore di Vitaminic Gianluca Dettori, il patron di Magnolia Giorgio Gori, il proprietario di Banzai Paolo Ainio, il creatore di Blogosfere Marco Montemagno), manager e consulenti legati all’innovazione (come Marco Pancini di Google, Alberto Fedel di Newton e Mafe de Baggis di Youplus), docenti universitari (come Abruzzese, Revelli, Vattimo, De Kerkhove, Bonaga e Marramao), direttori di fondazioni come quella creata da Montezemolo, ItaliaFutura (Andrea Romano) o quella finiana FareFuturo (Alessandro Campi), giuristi (Stefano Rodotà, Guido Scorza ed Elvira Berlingieri), ovviamente blogger (come Luca Sofri e Massimo Mantellini) e direttori di nuove testate (Tommaso Tessarolo di Current tv e Riccardo Luna di ‘Wired’). Ci sono anche scrittori (Elena Stancanelli, Piergiorgio Paterlini e il recente vincitore dello Strega, Tiziano Scarpa), mentre non sono moltissimi i politici, tra i quali tuttavia si segnalano Ignazio Marino, Mercedes Bresso, Ivan Scalfarotto, Marco Cappato e Giuseppe Civati. Particolarmente interessanti sono due firme vicine al mondo militare, come quella del generale (ed ex vicecomandante della Nato) Fabio Mini e dell’esperto di questioni belliche del ‘Giornale’ Andrea Nativi: convinti anche loro che le norme in questione non abbiano alcuna efficacia nella prevenzione del terrorismo, e che quindi il decreto Pisanu, almeno nella parte che riguarda il Web, non abbia ragione di esistere.
Un no al decreto Pisanu che si deve accompagnare a un rilancio dell’infrastrutture per una connessione veloce e gratuita a Internet, diventato strumento e servizio indispensabile.
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