Srebenica, per non dimenticare – 3 – Tuzla – Gli occhi tristi del pappagallo

È giorno di festa oggi alla “Casa Pappagallo”. È arrivata la targa che segnala l’apertura dell’Internet Point gestito dai ragazzi della struttura. Siamo a Tuzla, seconda tappa del nostro viaggio verso Srebenica.
La “Casa Pappagallo” prende il nome dai diversi colori che compongono le facciate della casa. Non è una scelta creativa, un’idea di qualche novello Chagall o di un moderno communication designer. Era semplicemente finita la vernice in dotazione e si sono dovuti arrangiare con quelle a disposizione, creando un effetto policormatico molto vistoso che trasmette un senso di simpatia e di allegria. Sentimenti difficili da far provare agli abitanti della Casa. Infatti ospita 10 ragazzi maggiorenni che hanno passato l’infanzia e l’adolescenza in orfanotrofio e che cercano di aiutarsi a vicenda nel superare le molte difficoltà nella fase delicata del passaggio alla vita adulta. Al compimento del 18° anno ti sbattono in strada, senza la possibilità di un inserimento in un contesto lavorativo, senza il sostegno di nessuno, benché meno dello Stato.

I servizi sociali in Bosnia sono allo sfascio, non riuscendo ancora  a sopperire a quel bisogno enorme di solidarietà creato dalla guerra. Solo da poco è stata istituita l’assistenza sanitaria pediatrica per tutti, prima i bambini che ne avevano bisogno e non potevano permetterselo potevano fare solo una cosa: arrangiarsi e sperare di guarire. Non tutti hanno avuto questa fortuna: sono molti i bambini morti di leucemia o di tumore in seguito all’uso di armi con uranio impoverito, una vergogna che ancora oggi miete silenziosamente vittime tra ex militari e civili. Una delle tante, troppe verità che urla ancora giustizia.

Nella “Casa Pappagallo” sono molti quelli che cercano di finire gli studi, unica speranza di riscatto sociale, un piccolo riconoscimento personale dopo una infanzia fatta di sacrifici e privazioni.
Dietro la casa un campo d’erbacce diventerà presto un campo sportivo, che sarà autogestito dai ragazzi facendo del luogo un centro di aggregazione sociale. Ma bisogna fare presto, prima dell’elezione che avverrà in primavera. Il sindaco è in odore di rielezione e non vuole farsi sfuggire l’opportunità di inaugurare questo virtuoso esempio di politica sociale. Tutto il mondo è paese.

A Tuzla non ci sono nazionalismi anche perché dopo Sarajevo è la città più multietnica della Bosnia. Da anni vince il partito socialdemocratico che punta molto sulle politiche sociali e la necessità di soddisfare il bisogno delle persone.
Ci sono esempi eccellenti di coraggio in politica, come nel caso di Selim Beslagic, sindaco di Tuzla durante la guerra, che minacciava di far saltare I gasdotti che circondavano la città se le truppe nemiche avessero osato porre un assedio. Una strategia che ricorda molto l’incendio di Mosca da parte dello zar Alessandro I, che ha lasciato le truppe francesi di Napoleone senza una città da saccheggiare. Un atto estremo che ha salvato il centro città dalla guerra totale, anche se non dai bombardamenti. Al contrario di Sarajevo e Mostar all’ingresso della città non ci sono palazzi fatiscenti o segni di proiettili sulle facciate, ma solo i segnali dell’economia industriale della zona: anonime ciminiere e una centrale a carbone che strappa un sorriso, data la sua somiglianza con la centrale nucleare di Springfield, direttamente dai Simpson. Tuzla è oggettivamente brutta, lo dicono anche gli stessi cittadini, ma è il motore economico e sociale di una Bosnia che vuole dimenticare velocemente il suo passato.  Palazzi grigi e tetri si mischiano a strade larghe e caotiche, con la presenza ogni tanto di villette a schiera.

È in una di queste case, con la facciata dipinta di un rosa squillante, che trova sede l’associazione Tuzlanska Amica, meta del nostro viaggio. Ad aspettarci ci sono Angela e Giovanni, impegnati attivamente nel seguire sul territorio i vari progetti portati avanti dall’associazione. Sono due pensionati bolognesi, con il sigaro sempre fra le mani e gli occhi sempre affamati dal desiderio di aiutare. Angela ha un volto sereno, una voce pacata, che stimola al dialogo, fino a quando non parla di Srebenica. Allora la voce si fa dura, i tratti somatici si irrigidiscono e le mani fremono. Appare tutta la passione e la rabbia che la stimola ad andare avanti a cercare di dare sempre un piccolo, ma tangibile aiuto. Angela è sempre accompagnata dal marito Giovanni, ex sindacalista, compagno deluso dalla politica. Ha provato a farla anche attivamente a Bologna, ma gli sembrava di non concludere niente, di perdere tempo, di non riuscire a incidere. Tutto è cambiato da quando ha iniziato a lavorare nei Balcani e i giochi della politica, troppo spesso incomprensibili,passano in secondo piano di fronte alle tragedie dei bambini e delle bambine bosniache. Angela e Giovanni gravitano nell’orbita di Adottando, O.N.L.U.S. riconosciuta e registrata nelle liste istituzionali del volontariato bolognese: l’obiettivo sono l’incremento delle adozioni a distanza, ma oltre a cercare di offrire un concreto aiuto materiale, la novità consiste nel provare a costruire un contatto diretto tra donatore e bambino: un rapporto costante, che si nutre non solo attraverso lo scambio di lettere ma anche con visite al bambino nel luogo dove vive, per conoscere direttamente la sua realtà e cercare di ricostruire quella fiducia persa dopo le tremende esperienze personali.

Adottando è una delle associazioni che gravitano attorno a Tuzlanska Amica, il  vero filo diretto con il territorio, capace di gestire 1000 adozioni a distanza con uno staff di sole 8 persone, capitanati da Irfanka, energica neuropsichiatra dalla sigaretta facile. Capisci quanto è forte quando intravedi i suoi occhi  nascosti dalla frangia bionda che gli scende sul viso, occhi che hanno visto la sofferenza e la tristezza. Non c’è spazio per l’empatia per persone come Irfanka, si rischia di crollare psicofisicamente e di non essere più in grado di aiutare. L’insensibilità al servizio degli altri, unico rimedio per non rimanere schiacciato dal peso delle tragedie. E’ schiva e non si vuole far fotografare, preferisce non apparire, ma lavorare in seconda linea, silenziosamente.
Ogni persona che lavora a Tuzlanska Amica ha una disgrazia personale alle spalle, un fardello da dimenticare per riuscire a lavorare serenamente con i bambini.
Ma i segni del passato si vedono negli occhi, gli stessi di Irfanka, spietati rilevatori di una sofferenza interiore. Come nel caso di Fata, ragazza bosniaca dal nome magico e fiabesco. Purtroppo non c’è nulla della classica favola nella sua vita, nessun lieto fine. Guardando il suo fisico esile ti domandi come sia riuscita a sopportare anni di sevizie dentro le mura domestiche. Non sorride mai Fata, e come potrebbe? Ma quando abbraccia un bimbo dell’orfanotrofio non ha bisogno di muovere la bocca per sorridere, ci pensano gli occhi, che brillano  temporaneamente di una luce mai vista.
E’ una grande famiglia l’associazione Tuzlanska Amica, una nuova casa dove tutti si aiutano a vicenda, dove ognuno cerca di superare i  numerosi momenti difficili causati dalle esperienze personali  aiutando migliaia di bambini, ragazzi e adulti.

La “Casa Pappagallo” si trova dietro la sede dell’associazione, costruita in collaborazione con la Regione Emila-Romagna, molto attiva sul territorio.Qui passano molti dei ragazzi che sono stati aiutati da Tuzlanska Amica e che al compimento del 18° anno, sbattuti in strada dall’orfanotrofio, si sono dovuti arrrangiare. Qui hanno potuto continuare il legame stretto che si era creato con Irfanka e gli altri, qualcosa che somiglia molto al concetto di famiglia. Qui hanno potuto continuare gli studi o trovare un lavoro.

C’è grande festa oggi alla “Casa Pappagallo” per l’arrivo della targa dell’Internet Point. Ma quattro ragazzi sono ancora più contenti: dopo 15 interminabili anni i resti dei loro padri sono stati trovati nelle fosse comuni e finalmente identificati . Domani potranno seppellirli nel memoriale di Srebenica,a Potocari. Finalmente da domani potranno tornare a vivere. Provando a guardare il mondo con occhi diversi. Occhi meno tristi e malinconici, pronti a provare una serenità brutalmente negata.


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