Pompei, la favola senza lieto fine

Pompei è la mia storia, Pompei è la mia vita, Pompei è il mio lavoro.

Ricordo ancora quando alla tenera età di 6 anni, i miei genitori mi portarono per la prima a volta a visitare gli scavi. Era un luminoso pomeriggio di Maggio, un caldo torrido preannunciava l’estate imminente. Non so quale immagine affascinò di più i miei occhi da bambino:  la solitudine delle colonne, i volti sfumati negli affreschi, la drammatica visione dei calchi in gesso.

Non so se mi colpì di più l’idea di toccare qualcosa di leggendario, di sentire l’epicità del luogo, di respirare la Storia con la S maiuscola. Di sicuro iniziai a immaginare la bellezza e lo splendore della città in epoche passate, cercando di visualizzare nella mia mente la sontuosità di quel tempio, immaginando chi poteva vivere in quella casa piena di affreschi, domandandosi da cosa scappava quel cane orribilmente storpiato dal gesso.

Da quella visita a Pompei avevo capito che il mio futuro era il passato, in un paradosso semantico che solamente ora riesco a comprendere al meglio. Volevo riuscire a trasmettere le stesse calde sensazioni e l’irrazionale gioia che provavo  cercando di immaginare la vita di quella città oggi deserta, sentendo il peso del trascorrere dei secoli e facendomi capire il fondamentale valore formativo della Storia.

Successivamente con Pompei mi sono incrociato molte altre volte, il tempo di una breve visita, la lettura di un libro, la visione di un documentario, momenti necessari per dare nuovamente fuoco alla passione per questo tesoro dell’umanità. Era bello vedere come il mio entusiasmo non passava e ogni  nuova piccola scoperta era un’emozione, qualcosa che mi avvicinava sempre di più al cuore inarrivabile della città.

Il mio sogno si è avverato due anni e mezzo fa, quando, subito dopo la laurea, ho accettato l’incarico di ricercatore presso il King’s College di Londra. Obiettivo dello studio era la ricostruzione tridimensionale di una villa dell’area pompeiana. Unire il futuro (la tecnologia informatica) con il passato (contribuendo alla conoscenza scientifica del sito), chiudendo il cerchio iniziato venti anni prima.

Non c’è da meravigliarsi che sia una università straniera a finanziare progetti di ricerca su Pompei,siamo solo noi che non riusciamo a capacitarci di quanto siamo fortunati, di quanto la cultura dovrebbe arricchire le nostre vite, migliorare le nostre anime, renderle più tolleranti verso i diversi da sé, riscoprendo il valore della democrazia e della solidarietà e ricacciando indietro le pulsioni della violenza. Noi che abbiamo il 60% dell’intero patrimonio culturale mondiale, dovremmo essere da esempio, guidare il mondo verso una via più serena e illuminata, ma sembra che non ce ne accorgiamoe guardiamo alle nostre bellezze con superficialità e sospetto. A volte guardando come spreco di risorse quei soldi spesi per restaurare quattro ruderi antichi o una chiesa fatiscente.

Un paese che non investe nella cultura è destinato  all’ignoranza, all’intolleranza e alla violenza. Pompei come metafora della cultura italiana: così bella, così fragile.

Ma come ho trovato l’ amata Pompei all’inizio del mio lavoro?

Se all’inizio era una favola, ora non più…il lieto fine è sparito.

Continua…



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