Prossima fermata Tunisi

Un governo che controlla i media, un paese che non riesce a fare le riforme, la corruzione che aumenta, i giovani senza futuro. No, non sto parlando dell’Italia, ma dello stato africano più vicino alla nostra nazione: la Tunisia.

In questi giorni la protesta, iniziata un mese fa,sta  aumentando drammaticamente, gli scontri si fanno sempre più violenti e sanguinosi. Un bilancio ufficioso parla di 50 persone uccise, con testimonianze raccapriccianti: si parla di cecchini che colpiscono nell’ombra i manifestanti e di proiettili sparati ad altezza uomo.  Un uso eccessivo della forza che fomenta ancora di più la rabbia e la tenacia dei giovani tunisini.

Ma perchè siamo arrivati a questo punto? Siamo sull’orlo di una rivoluzione?

La Tunisia è formalmente uno stato democratico, con una Costituzione ed elezioni frequenti. Ma basta scrostare la patina della parola democrazia per vedere che in effetti questa è fatta di carta, un paravento per un regime che da anni governa il Paese, una definizione per allontanare gli occhi severi della comunità internazionale. Il potere esecutivo è concentrato nel Presidente della Repubblica (i cui poteri costituzionali sono stati ulteriormente rafforzati nel 1988, 1997 e 2002), che lo esercita con l’assistenza di un Primo ministro e di più ministri, tutti di sua nomina e revoca. Il governo ha ampi poteri regolamentari. Il Presidente della Repubblica è eletto ogni 5 anni a suffragio universale ed è rieleggibile senza limiti. Della pubblica amministrazione, incluse le forze armate e dell’ordine, dispone il Presidente. In quanto garante dell’indipendenza nazionale, dell’integrità del territorio e del rispetto della costituzione e delle leggi può attribuirsi poteri speciali in caso di pericolo imminente. Il potere legislativo è di fatto in gran parte di iniziativa governativa con diritto di priorità. Costituzionalmente indipendente, la magistratura non lo è di fatto: il Presidente nomina e rimuove i magistrati su proposta del Consiglio superiore della magistratura da lui integralmente nominato e presieduto. Solo il Presidente può adire il Consiglio costituzionale.  Il presidente Zine El-Abidine Ben Ali è in carica dal 1987 e ogni volta che ci sono le elezioni viene rieletto con percentuali troppo sospette: nel 1999 ottenne il 99,6% dei suffragi, nel 2004 con il 95,5 e nel 2009 con l’89%. Percentuali troppo “bulgare” (o d’ora in avanti potremo dire “tunisine” ) per essere vere. Nei suoi 23 anni di governo, Ben Alì si è preoccupato di soffocare ogni opposizione al suo regime, aumentando il controllo sui media e sui partiti politici rivali e soprattutto rifiutando qualsiasi riforma politica in senso democratico. Molte sparizioni, omicidi e casi di tortura sono stati segnalati dalle organizzazioni per i diritti umani. Una democrazia di cartone, che dovrebbe far riflettere sull’abuso di questa parola.

Ma se questa dittatura mascherata si nasconde bene agli occhi del Mondo, quando le ingiustizie sono troppe, arriva il momento X, il tempo della ribellione, degli scontri, dell’odio. I giovani tunisini, colpiti dalla crisi globale e dimenticati dal loro governo nazionale, mossi dalla disperazione si sono guardati in faccia e hanno visto la miseria comune e insieme hanno deciso di agire. Non sono guidati dall’integralismo islamico, ma da una disperata e straziante ricerca di un futuro, che si declina nella semplice richiesta di pane e di lavoro.


Quando non si ha più niente da perdere, quando ti tolgono la dignità, quando non hai più il diritto di lavorare, quando non riesci a sfamare la tua famiglia e vedi il governo del tuo paese che agisce solo per pochi o per se stesso, che incita all’odio, che risponde con il sangue alle legittime proteste, è arrivato il momento di fare qualcosa, di provare con tutte le tue forze a cambiare la situazione, cercare di ridare speranza a una generazione di delusi.
Stranamente oggi mi sento un po’ tunisino.


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