Ieri era la festa dell’Europa. Credo se ne siano accorti in pochi. Come potrebbe essere diversamente? Viviamo l’Europa come qualcosa di lontano, un colosso burocratico buono solo a determinare la lunghezza dei cetrioli. L’euro ha salvato molti Stati, tra cui il nostro, e ha unito i nostri mercati interni. Ma non ha unito i nostri cuori. La storia delle singole nazioni, un governo incentrato solo sull’economia, molte voci in politica estera, tutti fattori che non aiutano a costruire un’immagine di un continente compatto.
La paralisi di fronte ai grandi problemi internazionali, come l’emergenza in Libia e le rivolte del Nord-Africa, tolgono autorità all’Europa intesa come unica voce degli Stati membri. La politica estera e di sicurezza comune è sempre intergovernativa, ovvero prima di esprimere un’opinione bisogna sentire tutti i governi membri dell’Unione Europea. Nel tempi di Internet , dove le notizie viaggiano nel giro di minuti, capite quanto può essere inutile e inefficace. Chi conosce il nome dell’Alto rappresentante per gli affari esteri, che dovrebbe guidare la politica estera comunitaria? In pochi. Molto più famosa è Hillary Clinton, Segretaria di Stato americano, l’equivalente del nostro Ministero degli Esteri. Molto più famosa e quindi molto più influente.
Con tante voci da coordinare, dove ognuna cerca di fare i propri interessi, è difficile costruire una politica comune che vada oltre la sola visione economica e mercantilistica. Invece c’è un disperato bisogno di un’Europa attiva dal punto di vista sociale e dei diritti, dove i paesi più forti aiutano quelli più deboli, come in America. Quando la crescita è collettiva, tutti guadagnano di più.
Sono passati 60 anni dalla dichiarazione di Schuman, che ha tracciato la strada per l’Unità europea. Questo l’incipit: ” La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche“.
Mi piace l’utilizzo della parola creatività. Sottolinea la necessità di trovare nuove strade e percorsi, anche non convenzionali, per offrire qualcosa di nuovo. La pace mondiale non significa solo la cessazione delle guerre intese come scontro armato. Per me un’Europa unita deve portare soprattutto a una pace sociale, dove le differenze di censo, religione, orientamento sessuale, nazionalità, non sono vissute come un “conflitto”, che porta sofferenza e emarginazione, ma come qualcosa da armonizzare, in un contesto che vede lottare tutti insieme contro le diseguaglianze
. Per fare questo bisogna cambiare la cultura degli appartenenti ai singoli stati, abbattere le frontiere linguistiche, aumentare gli scambi sociali. Trovare un punto di contatto tra la” generazione Erasmus” e quella di “Bruxelles Ladrona”. Ritrovare l’Europa, persa nei meandri della globalizzazione di fine secolo, per ritrovare una “prospettiva di comunanza di vita pacifica ed evolutiva”, come diceva Alcide De Gasperi nel 1954.
Avere la possibilità di andare in Inghilterra, in Germania, in Portogallo, in Romania o in qualsiasi altro paese dell’UE, guardarsi negli occhi e chiamarsi semplicemente “fratelli”.
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