L’inverno italiano: la democrazia non è uno sport da spettatori (2)

Mentre imperversa la Prima Protesta Mondiale, in questo momento Berlusconi sta spiegando il suo ennesimo fallimento alla Camera dei Deputati, senza la presenza dell’opposizione.
Un governo arroccato sulle sue posizioni, che ha perso totalmente la bussola, litigioso e dannoso, incapace di dare il benché minimo segnale di risveglio. Vengono rivisti i dati sulla crescita, le fabbriche chiudono, il mercato ci punisce e noi abbiamo avuto il Parlamento bloccato dalla legge sulle intercettazioni. Si è smarrito totalmente il senso della realtà.
Siamo diventati come un pesce piccolo che non ce la fa a stare dietro al branco, e per questo gli squali ci hanno puntato, pronti a divorarci. Fino ad oggi ci hanno aiutato, ne siamo usciti malconci, commissariati, ma non finiti. Siamo sfuggiti all’attacco finale degli squali, ma per quanto?
Fermi un secondo. Ma se fosse il branco ad attaccare gli squali? Se fosse la politica, con la sovranità dei governi a sistemare le storture dell’economia? A ridurre le diseguaglianze?
Disuguaglianze forti anche in Italia: un paese che nel periodo dal 2001 al 2007 ha visto il proprio reddito medio crescere meno di tutte le altre economie sviluppate, Grecia e Portogallo incluse, può permettersi di perdere altro tempo? Abbiamo bruciato quasi un milione di posti di lavoro in 3 anni, un giovane su 4 è disoccupato, un mese intero di lavoro di un operaio è minore ad 1 ora di retribuzione del manager di quell’impresa. La metà della ricchezza complessiva delle famiglie italiane è in mano al 10% delle famiglie. . La metà delle famiglie italiane, quelle a basso reddito, detiene solo il 10% della ricchezza complessiva.
La democrazia implica una qualche sorta di eguaglianza: una qualche sorta di egalitarismo. Io non dico che ogni pezzo della torta dev’essere della stessa misura: però non vi sembra di essere andati ormai oltre? Non abbiamo superato il limite?
Più democrazia chiede il mondo. Più democrazia bisognerebbe chiedere anche noi. Perchè?
Ha fatto scalpore la rivelazione della lettera della Banca Centrale Europea, che dettava la manovra economica all’Italia, per ottenere gli aiuti per combattere la speculazione finanziaria. Come in Grecia, la democrazia ha lasciato il posto alla tecnocrazia. E questo perché per la prima volta nella storia, scelte fondamentali per il futuro di un Paese, vengono affrontate altrove: a Francoforte, a Washington, nelle sedi di rappresentanza del potere economico. La politica commissiariata dal potere economico. E torniamo alla politica fatta dai pochi, di chi non ha il consenso popolare. E quando non è chiaro chi ha la sovranità, tutti provano a dire la loro. Fanno politica Confindustria, le altre corporazioni, i sindacati, le religioni. Anche la stessa antipolitica è politica allo stato puro, ovvero il cittadino che torna a interessarsi nuovamente al pubblico, che giudica le scelte dei politici, che si indigna.
Ma l’ indignazione, se non prosegue in un programma politico, è destinata a spegnersi. Troppo facile puntare il dito, sputare sentenze e indicare colpevoli, per poi sentirsi più sereni, più tranquilli. Compito dei partiti è trasformare l’indignazione in azione, far capire la necessità di un’azione guidata.
Sta ai partiti diminuire la distanza tra cittadini e le classi dirigenti, tra la rabbia da una parte, e la mancanza di coraggio dall’altra.
Lo possiamo fare riscoprendo il valore della parola democrazia. Una democrazia che non si limita al momento del voto, che guida il potere economico e non ne è schiava, che aumenta l’interesse e la responsabilità delle persone. Una democrazia vera, reale, come direbbero gli indignados, che mira a diminuire le diseguaglianze, politiche, sociali ed economiche. Trasformare la democrazia rappresentativa in democrazia partecipativa, dove è ben identificabile chi ha poteri e responsabilità di governo, ma dove ognuno può avere la possibilità di dire la sua, di attivarsi, di partecipare al processo decisionale. Questo ci chiede il mondo: più ascolto. E anche noi nel nostro piccolo possiamo dare un enorme contributo. Possiamo essere un modello virtuoso, ritrovare il senso di appartanenza, il senso di stare in una comunità, sentirsi protagonisti di qualcosa di concreto e tangibile.
Gli strumenti ci sono, si va dalla semplice petizione, ai referendum, alle iniziative di cittadinanza attiva.
Ripartiamo dalle basi. Ripartiamo da noi. Perchè la democrazia non è uno sport da spettatori. Se tutti stanno a guardare e nessuno partecipa, non funziona più.


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