Un’occasione persa. Sabato scorso a Parigi, si sono incontrati Bersani, Hollande, candidato alle presidenziali per il partito socialista francese, e Gabriel, leader del partito di centrosinistra tedesco SPD. Poteva essere un momento storico, un evento che segnava l’inizio di un nuovo modo di fare politica: condiviso, europeo, di largo respiro. Eppure, almeno in Italia, ne abbiamo parlato pochissimo, se non per le reiterate polemiche interne al partito di chi voleva che Bersani non andasse, perché troppo spaventato dalle parole “progressista, sinistra, socialista”.
Ma nel documento firmato ci sono le basi per la politica comunitaria del futuro: “crescita, il completamento del mercato interno, gli Eurobond”. Nuovamente questioni economiche, fondamentali nel periodo di crisi, ma che non danno risposta alla necessità di una maggiore coesione politica fra i vari stati dell’Unione, che porti finalmente a “innamorarsi” e sentirsi parte dell’Europa.
Eppure i 3 grandi partiti europei si definiscono “progressisti”. “Progresso” è la promessa di un futuro migliore, di maggiori opportunità di sviluppo personale, di una società più giusta. E’ la promessa che il duro lavoro porta i suoi vantaggi in termini di maggiore sicurezza, più opportunità e maggiore prosperità per tutti. Ma ora il “progresso” è spesso visto come una minaccia. Oggi non possiamo più essere certi che vada di pari passo con un buon lavoro, un buon reddito,la sicurezza sociale, la sostenibilità e la democrazia. Le persone si sentono alla mercé dei mercati. Si sentono abbandonate, impotenti di fronte a una società che è governata da processi senza nome e agenti riconoscibili. Stiamo vivendo una contraddizione. Da un lato, la crescita appare necessaria per realizzare la moderna promessa del benessere per tutti. Ma d’altra parte vediamo le conseguenze negative di questa spasmodica ricerca della ricchezza, sotto forma di danni ambientali e sociali.
La globalizzazione è qui per rimanere, e gli Stati, le imprese e le persone apparentemente non hanno alternative se non quella di adattarsi ad essa. Ma c’è una presa di coscienza in costante crescita che questo sta causando gravi danni economici, imponendo costi sociali elevati e la frammentazione della società.
Dobbiamo reinventare l’idea di progresso. Deve diventare un progetto di speranza e di un futuro nuovo, che può avere successo solo se riesce a rompere le storture del passato. Non il progresso inteso come crescita industriale, ma come crescita dell’umanità.
L’iniziativa di Parigi è stata chiamata “verso un nuovo Rinascimento”, un periodo che fu di cambiamento, dove il singolo individuo capì la sua capacità di autodeterminarsi e di coltivare le proprie doti, con le quali riesce a vincere la Fortuna (nel senso latino, “sorte”) e dominare la natura modificandola. In questo presente che vede la democrazia in sofferenza, con decisioni che vengono prese troppo spesso da élites non elette, è necessario più coraggio. Altrimenti questo triste e oscuro Medioevo 2.0 sarà ancora troppo lungo.
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