È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora. (Winston Churchill) Ma è davvero così? Cosa intendiamo per democrazia? E’ vero che la democrazia funziona quando a decidere siamo in due, e l’altro è malato? Alcune riflessioni semi-serie a puntate sul futuro della forma di governo più amata dal popolo, ma anche dai dittatori:
Art.18, grandi opere, lavoro, riforme, corruzione. Altro che sconfitta della politica! Temi importanti che necessitano di un approfondimento, una riflessione, qualcuno che sappia fare una mediazione tra le molteplici posizioni irremovibili. Temi che richiedono qualcosa di nuovo, per superare il distacco di fiducia che c’è con la classe politica di ora.
Ma alla radice di tutto questo, alla base c’è solo una parola, che ha perso il suo fascino, ma che viene citata continuamente: DEMOCRAZIA. L’unica forma di governo possibile, che possa aumentare veramente libertà e possibilità di ognuno. Oggi se ne parla fuori misura per colpa di chi ingenuamente grida “alla sospensione della democrazia” per via di Monti, legittimamente al governo grazie al Parlamento, la stessa istituzione, custode delle volontà dei cittadini, che può sfiduciarlo e farlo cadere.
Ma in effetti la democrazia non sta molto bene in questo periodo. No, non c’è un calo dei paesi cosiddetti “democratici”, c’è un peggioramento della qualità della democrazia stessa.
Un drastico abbassamento di votanti, calo di partecipazione politica e iscritti ai partiti e ai sindacati: una crisi drammatica che colpisce i più giovani, uniti dal fatto di essere la prima generazione globale, con gli stessi problemi e le stesse preoccupazioni: non avere un lavoro, non avere un’istruzione degna , di essere vittima di disuguaglianze. Ne è una viva testimonianza la serie di proteste che abbiamo visto in tutto il globo.
Ma non c’è un ritorno nostalgico a vecchi totalitarismi del passato. Anzi, c’è una richiesta di più democrazia, contro le enormi disparità politiche, sociali ed economiche che si sono aggravate negli anni, nascoste sotto il tappeto quando stavamo meglio, esplose adesso che viviamo una fortissima crisi. Nell’era della globalizzazione, dei social network da milioni di utenti, giovani di tutto il mondo hanno scoperto che non sono soli a soffrire, che sono in molti a subire le disuguaglianze create dai pochi. E sono scesi in piazza. Con la parola “democrazia” in bocca.
Non hanno tutti i torti, la democrazia implica una qualche sorta di eguaglianza: una qualche sorta di egalitarismo. Io non dico che ogni pezzo della torta deve essere della stessa misura: però non siamo andati ormai oltre? Dove l’economia controlla e influenza la politica? Dove le minoranze non sono tutelate?
Lo vediamo anche da un punto di vista simbolico, ché il linguaggio della finanza ha permeato ogni ambito della civiltà, del discorso quotidiano, come una canzone monotona, che tutti odiano ma finiscono poi col canticchiarla: il mercato lasciato a se stesso, senza o con meno controlli, ha divorato se stesso; gli appetiti personali sono diventati di colpo coraggiose virtù; la diseguaglianza s’è diffusa; la finanza, non più il lavoro e la produzione, è diventata la risorsa prima dell’economia. E alla fine è arrivato il conto da pagare, salatissimo. Misuriamo la qualità del governo in base allo spread, giudichiamo i nostri politici per quanti buoni del tesoro riescono a piazzare, l’efficacia di uno Stato per quanti tagli riesce a fare, quanto salario riesce a ridurre.
Non si parla invece di eguaglianza, di partecipazione, di libertà, di felicità, di emozioni, di empatia.
MA questi sono concetti difficilmente misurabili, mi potreste dire, invece i termini economici sono matematici, freddi, sommabili. Si può quantificare la felicità? Si può sommare la libertà? Si può calcolare l’uguaglianza?
Certo che lo possiamo fare, si può e si deve fare.
Quale democrazia per il futuro?
[continua… ]
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