Non ho mai gioito delle disgrazie politiche altrui, ho sempre cercato di evitare di puntare il dito sull’effettiva democrazia interna degli altri partiti, non incolpo il Trota di essere diventato consigliere regionale. Le colpe in democrazia sono sempre collettive: la colpa di chi non ha premuto per una legge sui finanziamenti ai partiti più trasparente e certificata, la colpa di chi ha votato politici “poco affidabili” mandandoli a rappresentare gli interessi di pochi nelle istituzioni, la colpa di chi non è riuscito a fermare tutto questo.
L’avanzata della Lega Nord è stata inesorabile: fino ad ora il terzo partito italiano, è la nuova destra, che ha rimpiazzato il PDL, rispondendo alle paure della globalizzazione giocando in difesa: no al diverso, no all’Europa, no all’importazione. Una volta c’era anche il no a Roma, ma ora si sono adagiati sulle poltrone della Capitale. La Lega da partito-movimento ha movimentato i partiti, costretti a rincorrere il loro linguaggio estremista e pericoloso. Un linguaggio che si dissocia dalla pratica: le ronde mai fatte, l’integrazione de facto nelle imprese del Nord sono solo esempi della politica fallimentare del partito di Bossi. Eppure i suoi amministratori hanno il più alto tasso di gradimento. Quello che a noi inorridisce, per la Lega è un punto di forza: la semplicità del linguaggio e la chiarezza del programma. Pochi punti, da martellare nella testa degli italiani. La Lega in soli 5 anni ha visto moltiplicare i suoi voti, riuscendo nel Nord a prendere lo stesso consenso della DC (35% nel Veneto nel 2010).
Nel 2010, dopo le elezioni regionali vinte dal partito di Bossi scrivevo: quando il berlusconismo passerà, la Lega ci sarà ancora, con i suoi proclami, il suo populismo, i suoi slogan. Fino ad oggi è riuscita anche a rinnovarsi, rimpiazzando quasi totalmente la classe dirigente dei primi anni ’90 e ci sono buone probabilità che riesca a farlo ancora. Non è forse la Lega il “nemico” da combattere, con il suo programma incendiario, primordiale, arrogante? Siamo più spaventati di un Presidente del Consiglio che simula di fare il forte vedendo l’approssimarsi della sua fine, o di un partito forte che ha ampi margini di miglioramento?
La Lega sarebbe andata avanti, macinando consensi, continuando campagne profondamente di destra, nascondendo gli errori del passato attraverso la lotta al governo del presente, che deve rimediare al nulla fatto in questi anni. Scrive oggi Diamanti:
[..]Per cambiare l’Italia. Per riformarla a misura del loro popolo, dei loro elettori. Che chiedevano – e chiedono – di essere “liberati”: dalle tasse, dalla burocrazia, dal peso del pubblico, dai privilegi della classe politica – “romana” e “meridionale”. Dal centralismo. Nulla di tutto ciò si è avverato. La pressione fiscale è cresciuta. Il federalismo: approvato a parole. Mai tradotto in regole e strutture amministrative efficienti. I privilegi politici: mantenuti e moltiplicati. Insieme alla corruzione. Infine, la crisi globale – a lungo negata dal governo del Nord – ha colpito pesantemente l’Italia. Ma anche il Nord. Il piccolo Nord, il Nord dei piccoli: punteggiato dai suicidi di artigiani che non ce la fanno. Il Nord di Berlusconi, dei media e dei servizi: alla ricerca crescente di protezione politica. (Il leader: impegnato a proteggere se stesso e le proprie imprese).
Così la Lega, da Sindacato del Nord, si è trasformata in un partito come gli altri. Centralizzato e personalizzato. Senza più guida e senza controlli, dopo la malattia del Capo. In balia di colonnelli, caporali e parenti. Mentre il Pdl, ultima versione del partito personale di Berlusconi, si è meridionalizzato. Il declino del Capo l’ha lasciato senza identità e senza missione.
La Lega ha preferito “suicidarsi”: imbattuta sul piano politico, con nessuna altra forza che riusciva a batterla sui suoi cavalli di battaglia (sicurezza, federalismo, immigrazione) si è scontrata con gli appetiti dello stesso “potere” che cercava di sconfiggere: la mancanza di controlli, l’avidità dei singoli, gli interessi particolari. Un “pasticcio in salsa verde” che potrebbe mettere la parola “fine” al partito più vecchio tra quelli esistenti. Tutto questo allarga drammaticamente il vuoto di politica che c’è in Italia, adesso specialmente al Nord dove la B2 (Berlusconi&Bossi) ha dimostrato il fallimento della politica “personale”. Ehi PD, che facciamo? Lo riempiamo questo vuoto o lo lasciamo al primo che passa? Non avete una sorta di déjà-vu?
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