#fantapolitica E finalmente venne il giorno delle primarie…

Francesco stava facendo un ripasso mentale delle cose da prendere mentre chiudeva lentamente la porta di casa. Le chiavi le aveva, il cellulare era in tasca insieme al portafoglio. Ma sentiva che si stava scordando qualcosa. Un lampo fulmineo gli fece ricordare che cosa aveva dimenticato: il certificato elettorale! Si dette un colpo in testa e cominciò a fare mente locale per capire in quale cassetto aveva riposto il prezioso documento. Quel giorno infatti, una uggiosa domenica di Novembre, doveva recarsi a votare. Ma non per un nuovo Sindaco o per il futuro Governo: quello sarebbe successo solamente in primavera. Oggi avrebbe votato ugualmente per qualcosa di importante: le primarie per il leader del centrosinistra. Mentre scendeva le scale, con il logorato certificato elettorale, compagno di tante votazioni, gli venne a mente  quando, un pomeriggio di inizio Giugno, al termine di una calda e partecipata direzione nazionale, il Partito Democratico, il primo partito nazionale, decise di intraprendere il percorso delle primarie. Francesco era uno dei tanti delusi dai partiti, specialmente da quel PD che aveva votato con grande speranza nel 2008, sicuro di aver puntato sul vero cambiamento, visto l’iniziale emergere di interesse per tutto il mondo che c’era al di fuori delle stanze di partito. Eppure mese dopo mese la fiducia crollava, sotto l’esplosione dei litigi, della scarsa chiarezza, delle posizioni ondivaghe, dei leader più credenti che credibili. L’entusiasmo si trasformava in inerzia, la voglia di partecipare in rassegnazione, la speranza in indifferenza. Eppure aveva continuato a votarlo, ostinatamente, sperando di incentivare l’unica vera alternativa di governo, l’unica barriera contro Berlusconi. Ma con il governo Monti le sue fragili certezze crollarono. Lui, giovane architetto che lavorava in uno studio, capiva benissimo che per costruire una nuova casa doveva prima sgomberare le vecchie macerie e poi costruire solide fondamenta. Per questo comprendeva l’enorme sacrificio che gli era stato chiesto da Monti e dai partiti della sua maggioranza. Quello che proprio non sopportava era la mancanza di progettazione del resto della casa. Non un’idea, una visione, una prospettiva. Mancava lo scatto in avanti, la grinta di dare una sferzata al sistema, il coraggio di scegliere parole e idee non convenzionali. Era stanco di vedere il Partito Democratico sulla difensiva, costretto alle barricate per difendere un governo che non sentiva come emanazione delle sue idee politiche. Stanco di non avere nessuno che poteva regalargli  qualcosa per cui inorgoglirsi, appassionarsi, spendersi in prima persona. Stanco di non vedere attenzione per la realtà, troppo spesso avvolti da polemiche superficiali e nominalistiche. Era una simpatia fredda quella per il PD, tanto fredda che si trovò quasi sollevato quando rispose a un intervistatore telefonico dicendo che era ancora indeciso su chi avrebbe votato alle prossime elezioni. Ed era vero. Se fosse andato a votare in quel periodo sicuramente avrebbe espresso un voto di protesta, forse il Movimento 5 Stelle, l’unico modo per cercare di far capire ai vertici del PD il suo disperato grido d’amore. Sì, credeva fermamente nelle idee del partito, quella voglia di parlare al Paese intero e non solo a una sua piccola parte, i suoi tanti militanti che si impegnavano ogni giorno, le idee sussurrate che delineavano una speranza per il futuro.
La decisione di fare le primarie aveva dato nuova linfa al dibattito politico all’interno del centrosinistra, con i tre candidati che finalmente si erano dovuti impegnare nel determinare la loro concezione di futuro, facendo emergere le differenze. Era stata una campagna elettorale sobria, senza insulti, ma accesa, vera, come è giusto che sia quando ci si sfida per un ruolo così importante come la guida del Paese.
Mentre si metteva in fila al gazebo vicino casa, si sentiva orgoglioso di poter nuovamente partecipare alle decisioni politiche del suo bistrattato e complicato Paese. Era sempre stato un attore passivo, ma apprezzava ogni volta che gli davano la possibilità di compiere un gesto, anche se piccolo, per partecipare.
Sapeva chi avrebbe votato e faceva il tifo per lui, ma la fiducia di quei mesi di discussione, la credibilità riacquistata, le proposte messe in campo gli avevano dato la forza di scacciare mesi di delusione. Non gli importava chi avrebbe vinto, era contento che finalmente il PD stava guardando al futuro, la cosa più di sinistra in assoluto. E per questo avrebbe avuto il suo voto.


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